I beni del ‘Killer di Canosa’ Sabino Carbone restituiti alla moglie
Il Tribunale di Bari ha respinto la confisca dei beni del killer di Canosa Sabino Carbone, incluso un immobile da 400mila euro. Una decisione che riaccende il dibattito sulla provenienza dei capitali.
I Beni erano della moglie e di provenienza legittima
Canosa di Puglia, un nome che da anni riecheggia nelle cronache giudiziarie, torna prepotentemente sotto i riflettori. Questa volta, a far discutere è una decisione inattesa del Tribunale di Bari: la restituzione di un immobile e di diversi conti correnti, per un valore complessivo di oltre 400mila euro, alla moglie di Sabino Carbone, noto come il “killer di Canosa”. Una sentenza che solleva interrogativi e riaccende il dibattito sulla provenienza dei capitali in un contesto criminale così radicato.
Chi è Sabino Carbone? Un nome pesante, un passato ventennale costellato da spaccio di droga, estorsioni e furti. Considerato dagli inquirenti un esponente di spicco della criminalità organizzata del Nord Barese, Carbone è stato condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Trani per quattro efferati omicidi, le cosiddette “lupare bianche”. Le vittime, di cui i corpi non sono mai stati ritrovati, sono Sabino D’Ambra (scomparso nel 2010), Giuseppe Vassalli (2015), Sabino Sasso e Alessandro Sorrenti (2003). L’appello per questi omicidi è atteso a fine giugno.
Il sequestro, avvenuto nel marzo 2024 per mano dei poliziotti della Questura BAT, riguardava un appartamento nella zona storica di Canosa, rifinito con materiali di pregio, oltre a rapporti bancari e finanziari. La decisione di sequestrare i beni era scaturita da un’attenta analisi della storia criminale del 43enne, che aveva evidenziato “un elevato tenore di vita a fronte di esigui redditi leciti dichiarati”, lasciando intendere come le attività illecite fossero la fonte principale, se non unica, del suo sostentamento.
Ma il Tribunale di Bari, sezione misure di prevenzione, ha sorpreso tutti. I difensori di Carbone, l’avvocato Sabino Di Sibio, e della moglie, l’avvocato Raffaele Di Bello, hanno strenuamente sostenuto che la casa non fosse frutto di guadagni illeciti. Hanno descritto Carbone non come un narcotrafficante di grande calibro, bensì come uno spacciatore tossicodipendente di provincia, argomentando che nessun arricchimento significativo fosse derivato dalle tentate estorsioni o dai delitti di sangue per cui è stato condannato.
Eppure, il Tribunale ha ribadito la pericolosità sociale di Carbone e il suo tenore di vita sproporzionato ai redditi dichiarati. Nessuno dei coniugi aveva un lavoro ben retribuito che giustificasse cene fuori, vacanze o smartphone di ultima generazione, per non parlare di un puledro. “Una cosa è giustificare le spese con entrate straordinarie, come donazioni ricevute dal padre, altro è invece sostenere, in maniera del tutto illogica, che l’attività delittuosa non abbia rappresentato fonte unica o prevalente di reddito”, hanno chiosato i giudici.
Allora, perché la restituzione? Nonostante la comprovata pericolosità sociale e i guadagni illeciti derivati dallo spaccio, il Tribunale ha ritenuto che la casa non potesse essere confiscata poiché acquistata con denaro di provenienza lecita. L’immobile, comprato nel 2008 dalla moglie di Carbone per 21mila euro, fu pagato con tre assegni circolari, un regalo del nonno. Un acquisto, hanno sottolineato i giudici, precedente al matrimonio. Anche le successive ristrutturazioni, che ne hanno enormemente aumentato il valore, sono state finanziate dal suocero di Carbone, titolare di un’impresa edile, quindi con redditi leciti.
La revoca del sequestro e la restituzione dei beni sollevano inevitabilmente una domanda: quanto è difficile, per la giustizia, dimostrare il legame indissolubile tra patrimoni e attività criminali, anche di fronte a un curriculum così pesante? La vicenda di Canosa ci ricorda la complessità delle misure di prevenzione e l’importanza di una tracciabilità finanziaria sempre più efficace ma difficile da stabilire.
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I beni del ‘Killer di Canosa’ Sabino Carbone