Parte oggi la prova nazionale (PN) INVALSI per le classi terze della scuola secondaria di primo grado di tutta Italia e si protrarrà fino al 18 aprile. Ma in cosa consistono queste prove tanto temute dai ragazzi e mal sopportate dai docenti, viste come una interferenza statale nel faticoso lavoro degli insegnanti? Bene! Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Le prove INVALSI si fanno strada nella scuola italiana nel lontano 2007. Inizialmente le materie oggetto di analisi erano Italiano e Matematica. Da un po’ di anni invece, si è aggiunto l’Inglese (lettura e ascolto). Queste discipline sono oggetto di verifica anche nel resto dell’Europa, attraverso i test OCSE-PISA. Anche la modalità è cambiata, da cartacea a multimediale (CBT). Ma a cosa serviranno i risultati di questa prova nella vita dei nostri studenti? E’ semplice! I test certificheranno abilità e competenze, di ogni singolo alunno, espressi in cinque livelli descrittivi e riportati nella certificazione finale delle competenze, che accompagnerà il curriculo dello studente fino al suo ingresso nel mondo lavorativo. Dal punto di vista delle scuole invece, i risultati delle prove INVALSI diventano materia di confronto fra scuole con stesso background. L’Istituto INVALSI ha una visione meramente costruttiva, poiché dall’esito dei test, la scuola di appartenenza ha la possibilità di migliorare il piano didattico-educativo e potenziare l’aspetto cognitivo e professionale di ogni singolo alunno e\o dell’intera comunità scolastica.
Per un certo verso ritengo che queste prove siano positive perché spronano i ragazzi a cimentarsi in argomenti in cui basilare è la logica e una buona preparazione culturale. Non sono d’accordo nella omogeneità delle prove, dato che una scolaresca è formata anche da alunni che presentano difficoltà e noi insegnanti approntiamo insegnamenti individualizzati che vengono vanificati proprio da queste prove un po’ piatte.