500mila firma raccolte per promuovere l’iniziativa di un referendum a favore dell’ Eutanasia ma la Chiesa parla di pericolosa deriva
Con la raccolta firme, per l’istituzione di un referendum sulla eutanasia, è arrivata tramite Monsignor Paglia, la posizione ufficiale del Vaticano. Il prelato rilasciando un’intervista al periodico on line Vatican News, si è fatto portatore del pensiero del Vaticano sulla scottante e delicata tematica: legalizzare la dolce morte anche nel nostro Paese.
Le parole di Monsignor Paglia, attuale presidente della Pontificia Accademia per la Vita, confermano la presa di pozione e lontananza della Chiesa a riguardo, “C’è la tentazione di una nuova forma di eugenetica – ha detto monsignor Paglia – chi non nasce sano non deve nascere. E insieme con questo c’è una nuova concezione salutistica per la quale chi è nato e non è sano, deve morire. È l’eutanasia. Questa è una pericolosa insinuazione che avvelena la cultura. Si sta man mano incuneando nella sensibilità della maggioranza una concezione vitalistica della vita, una concezione giovanilistica e salutistica in base alla quale tutto ciò che non corrisponde ad un certo benessere e ad una certa concezione di salute viene espulso”.
Non si è fatta attendere la riposta del fautore e leader dell’iniziativa, Marco Cappato, che ha ricordato che il referendum non prevede alcun obbligo di scelta ma consente a chiunque di esprimere il proprio pensiero ed una eventuale decisione in autonomia.
Ultimamente, la sentenza della Corte di Cassazione sul caso del Dj Fabo, del 25 settembre 2019, ha dichiarato illegittimo l’art. 580 del codice penale «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».