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Quale migliore occasione dei giorni di festa per andare in esplorazione degli angoli più reconditi della nostra Puglia, complice un inverno mite che invoglia a gironzolare, curiosi di scoprire storie e racconti del tempo perduto. Ecco allora un consiglio per viaggiatori che quel tempo vogliono ritrovarlo: Palazzo Taurino a Lecce. Incastonato come un gemma rara tra la Chiesa di Santa Croce e i suggestivi palazzi nobiliari di via Umberto I, a pochi passi dalla famosissima Piazza Sant’Oronzo, Palazzo Taurino dal 2016 ospita il museo ebraico leccese. Il palazzo è uno splendido esempio della stratificazione storica e architettonica della città, che non è soltanto la quintessenza del Barocco pugliese, dal momento che sotto le fattezze barocche e tardo rinascimentali, ricompare la sua origine medievale, riservando non poche sorprese. L’edificio infatti ospitava una Sinagoga, dal momento che una presenza ebraica nella città è attestata sin da tempi antichissimi, come dimostra un’epigrafe funeraria rinvenuta a Venosa, che data tra la fine del V secolo e gli inizi del VI era volgare, la presenza di una comunità ebraica collegata sia con Venosa che con Anciasmos, la attuale Saranda, poco a nord di Corfù. La prima attestazione certa di una presenza ebraica di origine sefardita, in epoca medievale, risale, invece, al 1359, ed è contenuta nei capitoli con i quali l’Università cercò di regolamentare la ripartizione del carico fiscale tra cristiani e giudei, a dimostrazione di come questi ultimi fossero divenuti un gruppo notevole, del quale bisognava tenere conto anche sul piano fiscale (votati al commercio, alla concia delle pelli, alla attività saponaria e alla medicina). Negli anni successivi la popolazione giudea crebbe ancora, grazie alle agevolazioni fiscali volute dalla nuova dinastia degli Enghien, signori di Lecce, che fecero della città un polo di attrazione per mercanti e merci provenienti da ogni dove. All’interno di questo periodo di floridezza, si colloca la costruzione della Sinagoga, le cui tracce sono ora visibili grazie all’imponente opera di recupero delle antica vestigia, e alla creazione di un percorso museale curato dal professor Fabrizio Lelli (Docente di Lingua e Letteratura Ebraica all’Università del Salento). Palazzo Taurino, infatti, accoglie il visitatore sotto una grande volta a botte, ricca di reperti che testimoniano la vita quotidiana della comunità, per condurlo in un altrove temporale e culturale. Di particolare suggestione è la sala delle mikwa’ot , le vasche in cui praticare le abluzioni rituali, per conferire la purezza a chi, tra i membri della comunità, l’avesse persa, prima di riaccostarsi alla sacralità del Sefer Torah. A dover compiere le abluzioni, dunque, come prescritto dalla legge halachica, erano le donne niddah (impure dopo le mestruazioni o il parto), o le nubende nel periodo immediatamente precedente il matrimonio, ma anche gli uomini zavah ( che per particolari condizioni fisiche avessero perso una quantità fuori dal consueto di fluidi corporei), o entrambi dopo tzaraath, cioè dopo aver superato particolari problemi cutanei. Anche chi avesse avuto in qualche modo un contatto con un cadavere aveva bisogno delle abluzioni, nonché chi avesse voluto convertirsi. La particolarità delle acque di un mikweh è che esse debbono provenire, ieri come oggi (la pratica è ancora conservata dagli Ebrei Ortodossi e dai Conservatori), da sorgenti naturali, connesse con fiumi o sorgenti sotterranee, a dimostrazione di come non tutti i luoghi possano accogliere le mikwa’ot, di cui Palazzo Taurino conserva oggi quattro esemplari. Pregevole la mostra sul vestiario di epoca medievale, per entrare nelle consuetudini del tempo. Assai degne di nota, poi, tanto una epigrafe in caratteri ebraici (che tradotta recita più o meno “Questa non può che essere la casa di Dio”, la quale in origine era nella Sinagoga, ma in seguito alla Gherush, la cacciata dai territori sotto il dominio spagnolo, finì, in segno di spregio, sotto un canale di scolo di una latrina poco lontano) e la presenza, su uno stipite di una porta interna della corte del Palazzo, dell’alloggiamento per una mezuzah, un piccolo contenitore in metallo o legno contenente una minuscola pergamena manoscritta con le parole dello Shema Israel, la preghiera cardine dell’Ebraismo, segno innegabile della presenza di una famiglia ebraica in quel luogo, probabilmente quella di un rabbino. Per chi ha voglia di ritrovare tracce perdute della nostra identità pugliese, perdersi nelle stradine della giudecca leccese può essere davvero una esaltante avventura spazio-temporale per assaporare l’altrove a pochi chilometri da casa. Buon viaggio dunque.