Innocente dopo 2 anni: Assolto Brandonisio
Il dramma di Francesco Brandonisio, pescatore e barbiere, scagionato dall’accusa: l’assassino era “più alto e robusto”, l’auto diversa. Una domanda resta: come è potuto accadere?
Per oltre due anni e mezzo, da ottobre 2022 fino a marzo scorso, la vita di Francesco Brandonisio, un 53enne pescatore da diporto e barbiere di professione, è stata inghiottita dal limbo di un’accusa gravissima. Era ritenuto responsabile dell’omicidio di Salvatore Dentamaro, una trans 40enne conosciuta come “Ambra”, trovata senza vita la notte del 23 settembre 2018 in una stradina isolata del lungomare di San Giorgio. Oggi, però, la Corte d’Assise (presieduta da Sergio Di Paola) ha tracciato un confine netto, emettendo una sentenza che spazza via ogni dubbio: Brandonisio è stato scagionato. Ma una perplessità amara rimane: come è stato possibile che un uomo innocente sia rimasto in carcere per tanto tempo?
Un verdetto inequivocabile: “Vuoto Probatorio” e Prove contraddittorie
Nelle 75 pagine che motivano la clamorosa assoluzione, i giudici smantellano l’intero impianto accusatorio. Si parla esplicitamente di “vuoto probatorio” e di dettagli che, seppur “suggestivi”, non hanno in alcun modo dimostrato la colpevolezza del 53enne. Il quadro dipinto dalla Corte è lampante: l’assassino di Dentamaro – l’individuo immortalato dalle telecamere e inizialmente indicato dall’accusa come Brandonisio – presentava caratteristiche fisiche e dettagli incompatibili. Era infatti più robusto, più alto e guidava un veicolo differente. A ciò si aggiunge un dato inconfutabile: le analisi delle celle telefoniche hanno “pacificamente” stabilito che Brandonisio non era presente sul luogo del delitto nel momento cruciale dell’omicidio.
La sentenza è chiara: “Le circostanze esposte – si legge nelle motivazioni – non possono fondare la penale responsabilità dell’imputato, anzi convergono nel delineare, con significativo grado di plausibilità, la sua estraneità al delitto in ragione delle significative differenze fisiche riscontrate nella corporatura e nella fisionomia dell’imputato rispetto all’ignoto cliente e alle altrettanto rilevanti differenze fra la sua auto e quella di quest’ultimo.” Inoltre, le testimonianze degli amici di Brandonisio e i tabulati telefonici “non hanno introdotto alcun elemento valorizzabile in chiave accusatoria, rafforzando, piuttosto, la tesi difensiva dell’assoluta estraneità al fatto.” Davanti a evidenze così lampanti, la questione che emerge è proprio quella del perché l’indagine non abbia subito una deviazione verso altre direzioni fin da subito.
Trenta minuti di mistero e piste trascurate
Le indagini iniziali della Squadra Mobile avevano ricostruito come Dentamaro fosse stata aggredita alle spalle e uccisa con un’unica coltellata al collo, inferta dall’alto verso il basso, forse al termine di un incontro sessuale a pagamento. All’arrivo della Polizia sul posto, alle 3:28, dopo l’allarme lanciato da alcuni vicini, l’auto della vittima era lì, con sportelli aperti, fari accesi e chiavi inserite. Dentamaro era ormai senza vita, seminuda, con un taglio sullo sterno e nessuna traccia di lesioni da difesa. Accanto al veicolo, un coltello intriso di sangue.
Le telecamere di videosorveglianza avevano ripreso un’auto e un “terzo cliente” della vittima circa mezz’ora prima del macabro ritrovamento. Ma è proprio su questo lasso di tempo che si concentra il dubbio cruciale: “Durante questo lasso temporale non vi sono elementi per ritenere cosa possa essere accaduto nella stradina,” evidenziano i giudici. “In particolare, non è possibile escludere che vi possa essere stata altra persona. Il relativo vuoto probatorio introduce ulteriori ragionevoli dubbi.”
I legali di Brandonisio, gli avvocati Antonio Fatone e Guglielmo Starace, hanno incessantemente evidenziato proprio questa lacuna. A loro avviso, la Procura non avrebbe indagato a fondo su altre potenziali direzioni: il mondo dello spaccio, i debiti che la vittima potrebbe aver avuto, le minacce o le estorsioni subite. Contesti dove, forse, si nasconde l’identità di un assassino che, ad oggi, è ancora a piede libero.
I confronti che hanno svelato la verità
Il fulcro dell’iniziale accusa poggiava sull’identificazione di Brandonisio con il “cliente n.3” che si era appartato con Dentamaro tra le 2:06 e le 2:33. Tuttavia, la Corte ha rilevato che la comparazione non è stata effettuata direttamente sull’imputato, ma attraverso immagini di videosorveglianza di una stazione di servizio e dati anagrafici sull’altezza, un approccio che si è rivelato fallace.
“Gli accertamenti svolti dal consulente del pubblico ministero – scrivono i giudici – non consentono in alcun modo di identificare nell’imputato il terzo cliente; anzi, i relativi esiti inducono a escludere che questi sia persona diversa da Brandonisio.” Un dato inequivocabile spicca: l’imputato è alto 1,68 m, mentre l’uomo ripreso vicino al luogo del delitto era 1,73 m. “L’ignoto è ben più alto dell’imputato,” concludono i giudici, notando anche che “l’ignoto cliente di Dentamaro risulta sensibilmente più robusto di Brandonisio.”
A ciò si aggiunge un’ulteriore conferma: i tabulati telefonici hanno escluso qualsiasi contatto tra l’utenza di Brandonisio e quella della vittima, rendendo inverosimile qualsiasi accordo per un incontro. E, aspetto determinante, “non è possibile affermare che Brandonisio si trovasse nella zona ove è stato commesso l’omicidio all’orario in cui questo è stato consumato.”
Un grave errore giudiziario che ha avuto un costo immenso, non solo per la libertà di un uomo innocente ma anche per la fiducia collettiva nel sistema. La Procura, che inizialmente aveva richiesto una condanna a 30 anni, ora dovrà valutare se impugnare questa sentenza. Ma per Francesco Brandonisio, dopo oltre due anni di ingiusta reclusione, resta la certezza della sua ritrovata libertà e la piena affermazione della sua innocenza, accompagnata da una domanda persistente: come si può prevenire che simili vicende si ripetano?
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