Per la CEDU l’Italia è colpevole
La riflessione di Jakub Stanislaw Golebiewski
La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nel caso Apadula contro Italia (2025) non deve trarre in inganno. Per molti, questa decisione non è affatto un via libera a chi demonizza l’affido condiviso o a chi riduce le separazioni a una guerra tra “madre vittima” e “padre abusante”. Il vero problema, secondo l’associazione Padri in Movimento, è un altro: il sistema giudiziario familiare italiano, incapace di proteggere i diritti dei bambini e di garantire i legami con entrambi i genitori.
Jakub Stanislaw Golebiewski, presidente di Padri in Movimento, non usa mezzi termini nel commentare l’articolo de Il Fatto Quotidiano (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/06/03/figlio-conteso-la-cedu-condanna-litalia-per-il-caso-laura-massaro-violati-i-diritti-del-padre/8008910/). Per Golebiewski, la CEDU non ha condannato una generica “cultura patriarcale”, come alcuni vorrebbero far credere. Al contrario, la sentenza punisce “un apparato istituzionale pesante”, con servizi sociali che Golebiewski descrive come “inadeguati, contraddittori, senza responsabilità e spesso protagonisti di vere e proprie omissioni”. A suo avviso, questi sono “i veri responsabili del fallimento delle procedure di separazione in Italia”.
Il punto è chiaro: la legge italiana, anche la Cassazione (sentenza n. 28727 del 17 ottobre 2023), ha stabilito che ascoltare i minori che hanno meno di sedici anni non è un’opzione, ma un obbligo fondamentale. Se non lo si fa, la decisione che li riguarda è addirittura nulla. La stessa Cassazione ha anche messo in guardia dall’usare con troppa leggerezza concetti come l’alienazione parentale (PAS), specificando che non possono giustificare interventi forzati senza prove chiare e un attento bilanciamento dei diritti di tutti.
Secondo Golebiewski, è proprio qui che il sistema si blocca: “i tribunali sono intasati e i servizi sociali, spesso senza competenze specifiche, presentano relazioni superficiali, piene di stereotipi e pericolosamente ideologiche”. Il risultato? “I minori vengono ignorati o usati come strumenti”. Il principio del “miglior interesse del bambino”, un caposaldo della Convenzione ONU e del Codice Civile italiano, per Golebiewski resta “solo sulla carta”. I dati ISTAT del 2023 confermano questa grave situazione: nel 61% delle separazioni difficili con figli, i servizi sociali ci mettono più di sei mesi per la prima relazione, e solo nel 12% dei casi l’ascolto diretto del minore è documentato. E dire che, come fa notare Golebiewski, “questi stessi servizi influenzano pesantemente le decisioni dei giudici, spesso senza che nessuno ne controlli la preparazione, l’imparzialità o la trasparenza”.i
Golebiewski è categorico: “La PAS non c’entra”. Ricorda che anche il Tribunale per i Minorenni di Bologna (decreto n. 45/2023) ha stabilito che la PAS non è un criterio valido per giudicare la capacità genitoriale o la volontà del minore. Per lui, “continuare a parlare di PAS significa favorire pratiche coercitive che negano il diritto del bambino di essere ascoltato”.
Golebiewski conclude sottolineando che “la retorica della madre protettiva e del padre potenzialmente ‘pericoloso’ è solo lo specchio di un sistema che abbandona il suo ruolo”. Questo sistema, a suo dire, “trasforma gli operatori sociali in giudici ombra, senza responsabilità né controllo”. La sentenza della CEDU, per Golebiewski, non è la fine della PAS, ma “la fine dell’alibi”. È “un atto d’accusa contro lo Stato italiano, non contro un singolo genitore”.
La sua richiesta è chiara: “Serve un cambiamento radicale: ascolto autentico dei minori, controllo reale sui servizi sociali e un giudice che torni a essere garante, non un semplice notaio delle relazioni di parte. Solo così si potrà restituire dignità alla giustizia familiare e ai figli di questo Paese”.
Per la CEDU l’Italia è colpevole
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CASO APADULA
La sentenza della CEDU significa che l’Italia è stata giudicata colpevole di non aver gestito bene un caso di separazione familiare, in particolare non garantendo i diritti del padre e non facendo funzionare correttamente i servizi e le procedure per tutelare al meglio il bambino coinvolto.