Medici di famiglia al bivio
La riforma del Ministero della Salute, tra dipendenza e libera professione, minaccia la continuità assistenziale. I sindacati denunciano un “pasticcio” che ignora la carenza cronica di specialisti.
La riforma della medicina di base si preannuncia come un vero campo minato, innescando allarmi seri sulla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale. Le ultime bozze circolate in Conferenza Stato-Regioni confermano l’intenzione del ministro della Salute, Orazio Schillaci, di introdurre un’opzione controversa: i medici di famiglia potranno scegliere tra il regime di convenzione, mantenendo la libera professione, o la dipendenza dal SSN. Una scelta che, a detta dei sindacati, rischia di complicare ulteriormente un sistema già precario.
“Credo che sul tema del contratto dei medici di famiglia sia giusto lasciar scegliere i medici”, ha dichiarato il Ministro. Tuttavia, questa “libertà di scelta” è vista come un’illusione dal fronte sindacale. Il tema centrale è rendere più efficiente la medicina territoriale, dove il medico di famiglia è un pilastro. Ma come? Invece di risolvere il problema cronico della carenza di medici, con migliaia di posti scoperti e un’emergenza palpabile in molte aree del Paese, si introduce una soluzione che rischia di generare ulteriori divisioni?
Schillaci ha evidenziato la necessità di rendere la professione più attrattiva, parlando di una “crisi vocazionale” e di scarsa partecipazione ai concorsi. Propone una scuola di specializzazione universitaria su base nazionale, ma ignora il vero nodo: le risorse. “Dobbiamo avere più medici di famiglia, sono il primo punto di contatto tra cittadini e SSN”, afferma il Ministro, ipotizzando anche il loro inserimento nelle Case di Comunità previste dal PNRR. Tuttavia, senza un piano serio di investimento, queste soluzioni restano mere dichiarazioni d’intenti.
Silvestro Scotti, Segretario della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia (Fimmg), non usa mezzi termini: “A fronte di questa carenza di vocazione non servono riforme pasticciate, ma più risorse da investire per rendere più attrattiva la specializzazione”. Il sindacato respinge categoricamente il passaggio alla dipendenza, anche se volontario, paventando conseguenze dirette e negative per i cittadini. Scotti porta esempi lampanti da Spagna e Portogallo, dove sistemi simili hanno ridotto il dialogo diretto medico-paziente, trasformando i medici in impiegati di turno.
Il rischio più grave, oltretutto, è la fuga dei medici. Un recente sondaggio ha rivelato che su 3.000 medici in formazione,oltre il 40% abbandonerebbe il corso se la dipendenza venisse introdotta. Questo aggraverebbe una situazione già critica: mancano 5.500 medici di famiglia e altri 7.300 lasceranno il lavoro entro il 2027 per raggiunti limiti di età.
La questione centrale, secondo Scotti, risiede nella scarsità di borse di studio e nel loro valore irrisorio, circa 900 euro mensili, contro i quasi 2.000 euro previsti per altre specializzazioni. È evidente: il sistema ha bisogno di investimenti reali, non di riforme che scontentano una categoria essenziale per la salute dei cittadini.
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