Omicidio Di Giacomo a Bari, la confessione shock di Vassalli: un racconto tra rimorso e giustificazioni.
Salvatore Vassalli, reo confesso dell’omicidio del fisioterapista barese Mauro Di Giacomo, ha rotto il silenzio. Davanti alla Corte d’Assise, l’imputato ha offerto una ricostruzione dettagliata, seppur controversa, degli eventi che hanno portato alla tragica scomparsa del professionista, avvenuta il 18 dicembre 2023 nel quartiere Poggiofranco.
Con una narrazione che si è protratta per cinque ore, Vassalli ha espresso il suo rammarico, pur adducendo motivazioni che gettano ombre sulla sua versione dei fatti. “Sono tanto pentito, non volevo ucciderlo”, ha dichiarato, attribuendo l’escalation di violenza a un’offesa e a presunte minacce subite da Di Giacomo quella sera. L’imputato risponde di omicidio volontario pluriaggravato, un capo d’accusa che potrebbe costargli la massima pena.
Al centro della vicenda, un presunto errore professionale commesso da Di Giacomo ai danni della figlia di Vassalli, Ornella, durante una seduta di fisioterapia. Un episodio che, a detta dell’imputato, ha trasformato la vita della sua famiglia in una odissea, alimentando un’ossessione sfociata nel delitto.
Secondo quanto emerso dalle indagini, e confermato dallo stesso Vassalli, la vicenda della figlia era diventata una vera e propria ossessione. La sera del delitto, l’uomo afferma di aver voluto solo un confronto con Di Giacomo. Ma la situazione sarebbe degenerata: “Mi ha chiamato ‘morto di fame’ e ha minacciato me e la mia famiglia, mi sono imbestialito”, ha raccontato Vassalli.
A suo dire, sarebbe stato aggredito e minacciato, reagendo con una ginocchiata e un colpo alla testa con il calcio della pistola che, a suo dire, si trovava in auto per puro caso. Durante la colluttazione, sempre secondo il racconto dell’imputato, sarebbe stata la stessa vittima ad afferrare la pistola, causando la partenza dei colpi. “Forse un gesto automatico”, ha ammesso Vassalli.
Tuttavia, la ricostruzione fornita dall’imputato presenta delle incongruenze. L’autopsia rivela che gli ultimi colpi, quelli fatali, hanno raggiunto Di Giacomo alle spalle, una dinamica difficilmente compatibile con la versione di Vassalli. Un dettaglio che solleva interrogativi sulla veridicità del suo racconto e che dovrà essere attentamente valutato dalla Corte.
Un altro elemento chiave riguarda l’arma del delitto. Vassalli ha raccontato di aver trovato la pistola quarant’anni prima in un casolare e di averla nascosta in un muretto a secco in campagna per difendersi dagli animali randagi. Dopo aver accompagnato la figlia alla stazione il 17 dicembre, avrebbe deciso di fare una passeggiata in campagna, ricaricando la pistola con gli ultimi sette proiettili. Proprio quelli che, la sera successiva, hanno tolto la vita al fisioterapista.
(Ma perché portare con sé un’arma carica, se l’intenzione era solo quella di parlare?)
L’imputato ha poi spiegato di non aver riposto l’arma nel muretto per timore di essere visto e di averla lasciata in macchina. Il giorno dopo, dopo il lavoro, avrebbe deciso sul momento di andare a Bari per incontrare Di Giacomo. Un incontro cercato più volte, come dimostrano le ricerche su Google Maps e i sopralluoghi nei pressi dell’abitazione del professionista. “Nel tragitto pensavo a cosa dirgli” ha detto.
Durante l’udienza, Vassalli ha anche riferito di un episodio avvenuto mesi prima, quando, nel parcheggio del Policlinico di Bari, aveva avuto “la netta sensazione di essere seguito da un’auto con a bordo Di Giacomo”. Un dettaglio che, a suo dire, testimoniava lo stato di minaccia percepito nei confronti del fisioterapista.
La sera dell’omicidio, sempre secondo Vassalli, Di Giacomo si sarebbe alterato, insultandolo e minacciandolo. “Diceva ‘mi state rovinando la carriera, morti di fame'”, ha raccontato l’imputato, aggiungendo di aver reagito con un ceffone e di aver poi afferrato la pistola per difendersi. “Mentre lui me la tirava sono partiti i primi due, tre colpi in rapidissima successione. Continuavamo a litigare, spingendoci avanti e indietro e continuavano a partire colpi nella confusione totale. Poi siamo caduti, io addosso a lui”.
Dopo l’omicidio, Vassalli ha ammesso di aver distrutto l’arma e di averne gettato i pezzi dal finestrino lungo la Statale 98. “Non pensavo di averlo ucciso, al massimo ferito”, ha dichiarato. “Non era mia intenzione uccidere il dottor Di Giacomo. Ho sbagliato, ho subito confessato e dal primo giorno mi sono assunto le mie colpe, perché sapevo di aver commesso un crimine”.
Nonostante il rammarico dichiarato, Vassalli ha ribadito di essere mosso soprattutto dal dolore per le sofferenze della figlia: “Rimpiango tutto quello che è successo, ma non per Di Giacomo, per le sofferenze che ha avuto mia figlia”.
Il processo è destinato a proseguire. Il 13 giugno si tornerà in aula per ascoltare gli ultimi testimoni della difesa, tra cui la figlia dell’imputato, Ornella, paziente del fisioterapista ucraino.
La verità sull’omicidio di Mauro Di Giacomo è ancora tutta da ricostruire. Le contraddizioni nel racconto di Salvatore Vassalli, le incongruenze con le risultanze dell’autopsia e i lati oscuri della vicenda pongono interrogativi che attendono una risposta. La Corte d’Assise dovrà fare luce su una storia di dolore, ossessione e violenza, alla ricerca della verità.
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Omicidio Di Giacomo a Bari