“Regali, non patti mafiosi”: Olivieri si difende così nel processo sul voto di scambio a Bari

Olivieri si difende nel processo sul voto di scambio a Bari

L’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri, al centro dell’inchiesta “Codice Interno”, respinge le accuse di legami con i clan per l’elezione della moglie, focalizzando la sua difesa su episodi di corruzione elettorale.

L’ex consigliere regionale, arrestato nel febbraio 2024 e attualmente agli arresti domiciliari, affronterà le gravi accuse di voto di scambio politico-mafioso, sebbene non fisicamente presente in aula. Il gup Giuseppe De Salvatore non ha infatti concesso a Olivieri il permesso di rientrare a Bari dalla sua attuale residenza a Parabita, optando per la partecipazione in videoconferenza, una modalità ritenuta “opportuna” vista la distanza, pur con il parere favorevole della Dda di Bari.

La strategia difensiva, organizzata dagli avvocati Gaetano e Luca Castellaneta, si concentrerà su due aspetti cruciali emersi dall’inchiesta: i presunti legami con tre consorterie criminali locali – Parisi, Strisciuglio e Montani – e i rapporti intessuti nell’ambito della sua pregressa attività politica, ampiamente discussi dallo stesso Olivieri durante il suo interrogatorio. La Dda di Bari, tuttavia, non sembra intenzionata a concedere sconti, avendo richiesto una condanna a dieci anni, motivata da una “spregiudicatezza” tale da non meritare attenuanti generiche.

Olivieri, condotto dietro le sbarre nel febbraio dello scorso anno e trascorso tredici mesi in regime di alta sicurezza nel carcere di Lanciano, ha ammesso alcune condotte, ma ha sempre respinto con forza l’accusa formulata dai pubblici ministeri Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino: quella di aver giocato un “ruolo di primo piano” nel “reperimento di voti mafiosi” per l’elezione della moglie, Maria Carmen Lorusso, candidata con il centrodestra alle comunali di Bari del 2019 e poi risultata eletta. L’accusa contesta inoltre una “particolare pervicacia”, un “disprezzo” manifestato, un “linguaggio astioso e crudele” utilizzato e una “capacità di piegare tutto e tutti alle proprie spregevoli e bieche esigenze di profitto personale”, con una “continua ricerca di forme di arricchimento illecito personale” che, secondo la Dda, lo avrebbero reso incline al compromesso anche con figure legate ai clan.

La linea difensiva degli imputati coinvolti nell’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al voto di scambio politico-mafioso ha finora insistito sull’assenza di prove concrete sull’utilizzo del metodo mafioso per ottenere consensi elettorali in favore di Carmen Lorusso. La tesi più volte avanzata è che i singoli procacciatori di voti, agendo su indicazione di Olivieri, si sarebbero rivolti a persone in precarie condizioni economiche, quindi più inclini ad accettare “favori” o promesse di denaro in cambio del loro sostegno elettorale.

Un comportamento che la difesa qualifica come mera corruzione elettorale, priva della violenza o dell’intimidazione tipica delle organizzazioni mafiose. Il presunto “patto”, dunque, non avrebbe avuto lo scopo di rafforzare i clan, ma unicamente di soddisfare un’esigenza personale di chi elargiva denaro (Olivieri) e di chi lo riceveva. Da qui la reiterata richiesta di riqualificare l’accusa nel meno grave reato di corruzione elettorale. Tuttavia, nel caso di Olivieri, il peso specifico delle accuse e alcune intercettazioni in cui emerge una sua conoscenza approfondita dei legami familiari delle persone con cui interagiva rendono il percorso difensivo particolarmente arduo.

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Elvira Zammarano

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