LEGGI CON ANNA: “Uccidi il padre” di Sandrone Dazieri. Un thriller mozzafiato tra oscure menzogne e verità

LEGGI CON ANNA: “Uccidi il padre” di Sandrone Dazieri.

“Un bambino è scomparso in un parco alla periferia di Roma. Poco lontano dal luogo del suo ultimo avvistamento, la madre è stata trovata morta, decapitata. Gli inquirenti credono che il responsabile sia il marito della donna, che in preda a un raptus avrebbe ucciso anche il figlio nascondendone il corpo.Ma quando Colomba Caselli arriva sul luogo del delitto capisce che nella ricostruzione c’è qualcosa che non va. Colomba ha trent’anni, è bella, atletica, dura. Ma non è più in servizio. Si è presa un congedo dopo un evento tragico cui ha assistito, impotente. Eppure non può smettere di essere ciò che è: una poliziotta, una delle migliori. E il suo vecchio capo lo sa. Le chiede di lavorare senza dare nell’occhio al caso e la mette in contatto con Dante Torre, soprannominato “l’uomo del silos”, esperto di persone scomparse e abusi infantili. Di lui si dice che è un genio, ma che le sue capacità deduttive sono eguagliate solo dalle sue fobie e paranoie. Perché da bambino Dante è stato rapito e, mentre il mondo lo credeva morto, cresceva chiuso dentro un silos, dove veniva educato dal suo unico contatto col mondo, il misterioso individuo che da Dante si faceva chiamare “Il Padre”. Adesso la richiesta di Colomba lo costringerà ad affrontare il suo incubo peggiore. Perché dietro la scomparsa del bambino Dante riconosce la mano del “Padre”. Ma se è così, perché il suo carceriere ha deciso di tornare a colpire a tanti anni di distanza? E Colomba può fidarsi davvero dell’intuito del suo ‘alleato’?”



“Uccidi il padre”: Un abisso di oscurità e verità.
Un prologo agghiacciante squarcia la placida campagna romana: il corpo martoriato di una donna, la testa recisa di netto, e l’ombra inquietante di un figlio svanito nel nulla. Sul padre grava un sospetto plumbeo, una colpa sussurrata come un presagio di sventura. È con questa scena brutale e spiazzante che Sandrone Dazieri ci trascina nelle spire di “Uccidi il padre”, un thriller che si annuncia subito come un viaggio tortuoso e indimenticabile nel cuore dell’orrore e della psiche umana.

A farsi carico di questo enigma torbido sono due figure indimenticabili: Colomba Caselli e Dante Torre. La prima, vicequestore della Omicidi segnata da un recente, traumatico ritorno al servizio dopo le cicatrici interiori de “il Disastro”, porta con sé la fragilità di chi ha conosciuto l’abisso, ma anche la tenacia di chi ha scelto di risorgere.

Al suo fianco, Dante Torre, un consulente con un passato che incide l’anima come un bisturi. Strappato all’infanzia e recluso per un decennio in un silenzioso silos, creduto perduto, Dante ha fatto del trauma una lente d’ingrandimento sul mondo. Il suo isolamento forzato ha affinato una capacità straordinaria di leggere il linguaggio muto del corpo, decifrando gesti e sguardi con una precisione inquietante.

Specializzato nelle oscurità che avvolgono l’infanzia violata e le menti perverse di psicopatici e pedofili, Dante si troverà a fronteggiare i fantasmi sopiti del suo passato, un eco doloroso che risuona sinistramente con il caso attuale.
Guidati da un’urgenza febbrile, Colomba e Dante si addentrano in una caccia spietata al mostro, un percorso costellato di false piste e rivelazioni sconvolgenti.

Dazieri tesse una trama fitta di colpi di scena, un ordito narrativo che cattura il lettore fin dalle prime pagine, rendendo impossibile distogliere lo sguardo. I ritagli di tempo inattesi si materializzano magicamente, fagocitati dalla necessità impellente di svelare il mistero.
L’apparente semplicità iniziale – un omicidio inspiegabile, un padre additato come unico colpevole – si sgretola rapidamente, lasciando spazio a un labirinto di interrogativi. Il rapimento infantile di Dante, un’ombra che incombe sul presente, riemerge con violenza, riportando alla luce la ferita primordiale di un’esistenza privata di radici, affetti, futuro.

La prigionia nel silos, un isolamento sensoriale brutale imposto da un aguzzino dal volto e dalle mani celate, ha plasmato Dante in modo indelebile.
La sua sopravvivenza è un miracolo distorto, e il ritorno alla normalità si rivela una sfida titanica. Ogni interazione umana è filtrata attraverso il prisma di un’esistenza solitaria, ma proprio questa singolarità gli conferisce un’abilità unica nel decifrare le sfumature del comportamento altrui.

A bilanciare la fragilità di Dante, troviamo la forza combattiva di Colomba. Trent’anni, atletica, una carriera costruita con determinazione in un ambiente maschile, ma segnata dalle cicatrici invisibili del “Disastro”, che si manifestano in attacchi di panico improvvisi.
Questa “strana” coppia, un connubio di vulnerabilità e resilienza, si muove in una struttura narrativa dalle fondamenta psicologiche complesse.

La trama avvincente si intreccia indissolubilmente con la profondità dei personaggi, dove ogni elemento è un tassello cruciale di un mosaico inquietante. Quando il lettore crede di aver intravisto la soluzione, Dazieri lo spiazza con un nuovo, inatteso colpo di scena.
Figura centrale, eppure perturbante, è il “Padre”. Non un semplice carnefice, ma l’artefice oscuro che ha plasmato l’anima di Dante, esercitando su di lui un dominio assoluto. Un carceriere, non un pedofilo, un personaggio contorto e disumano, l’antitesi di ogni ideale paterno.

Il romanzo non trascura l’aspetto procedurale dell’indagine, offrendo uno spaccato vivido delle dinamiche interne alla polizia. Da un lato, l’apatia di chi preferisce archiviare un caso rapidamente, sacrificando la verità sull’altare della convenienza; dall’altro, la tenacia di chi, animato dall’istinto e dalla sete di giustizia, lotta contro il cinismo e la superficialità.

Sandrone Dazieri dimostra ancora una volta la sua maestria narrativa, abbandonando i confini rassicuranti del noir metropolitano per addentrarsi in un territorio più oscuro e psicologico, un genere che sembra cucitogli addosso. “Uccidi il padre” non è solo un thriller avvincente, ma un’esplorazione delle profondità dell’animo umano, lasciando nel lettore interrogativi inquietanti e un finale volutamente ambiguo, un’eco persistente di un abisso di verità e menzogne.

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Anna Caprioli

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