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Capurso, Karol Di Chito, la storia straordinaria di Miss ‘Informissima’

19enne, bellissima, studentessa al liceo linguistico ‘Cartesio’ di Triggiano (quest’anno prenderà la maturità), con una iscrizione nel cassetto al Dams di Roma (cinematografia), la nostra Karol Di Chito è la vincitrice di un ambito concorso di bellezza che si è tenuto da poco a Riccione. Di lei e del suo successo hanno parlato in molti, ma pochi conoscono la sua storia di bimba nata nella città colombiana di Medellin (capitale del narcotraffico), della sua infanzia di maltrattamenti e solitudine, strappata da Paola e Felice, i suoi genitori italiani, ad una destino già segnato.

Quando sei arrivata in Italia?

“11 anni fa, nel 2010. Avevo 8 anni e mezzo”.

Che ricordi hai di Medellin?

“Medellin è una bella città, ma molto dipende dal quartiere in cui vivi. Io, per esempio abitavo in una delle zone più povere e pericolose. Non era popoloso come quartiere e le case non erano ravvicinate e c’erano anche brave persone ma la promiscuità con chi cercava di sbarcare il lunario col narcotraffico era forte e non di rado, la miseria, portava a trasformare banali litigi in efferati assassinii. Comunque ciò che ricordo perfettamente era la semplicità del luogo e della gente ed il senso di abbandono che colpiva i bambini del quartiere, me compresa”.

Capurso, La straordinaria storia di Miss ‘Informissima’, Karol Di Chito dalla Colombia all’Italia grazie all’amore, “Devo tutto ai miei genitori italiani. Sono il mio essenziale”

Paola e Felice Di Chito insieme alla piccola Karol

Karol, andiamo con ordine e cominciamo dai primi ricordi

“Cominciamo dai miei 5 anni. Anni straordinariamente intensi. È come se avessi fatto esperienza del male e del bene, dell’orrore e dell’amore in un tempo brevissimo, se vogliamo un record rispetto al resto delle persone che tali vissuti li spalmano nell’arco di una intera vita”.

Raccontami di te

“Allora, partiamo da questo: che ho molto sofferto. Poi, ricordo questa casa misera, piccola, dalle pareti scrostate e dagli odori intensi. Ricordo la cameretta in cui vivevo da prigioniera. Mia madre che lavorava tutto il giorno come domestica a ore e poi anche in un bar e la distanza, freddezza e quasi disprezzo di mio padre. Dopo la loro separazione, i miei non si sono più frequentati, ma in ‘compenso’ si sono divisi i figli, per cui io sono rimasta con mia madre, mentre mio fratello e mia sorella, più grandi di me, con mio padre”.

Come passavi le tue giornate?

“Sempre sola, chiusa in questa cameretta senza finestre ad aspettare il ritorno di mia madre che spesso si prolungava fino al giorno dopo. Ero dimenticata con la sensazione di essere un peso per tutti. Per vedere un po’ di luce o un volto umano, ricordo che avevo scoperto una fessura nel muro che mi permetteva di guardare fuori e da lì capivo pure se era giorno o sera. Ricordo la fame perché spesso rimanevo senza mangiare e che, piangendo, chiamavo mamma. E quando, qualche volta – chissà perché – venivano a casa la sorella di mia madre e il suo brutale compagno la mia situazione precipitava ulteriormente. Una volta quell’uomo mi mise le mani al collo stringendole forte forte. Non so perché volesse farmi tanto male fino ad uccidermi. Non l’ho mai capito. So solo che avevo appena 5 anni e ancora mi chiedo quali potessero essere i gravi problemi che avevo causato tanto da farlo arrabbiare così. La verità è che da subito ho sempre dovuto  badare a me stessa, ho dovuto imparare a difendermi da tutto e tutti, anche da coloro che avrebbero dovuto accudirmi e amarmi”.

Com’era tua madre?

“Molto bella. Quando tornava a casa ricordo che si cambiava d’abito ed io furtivamente mi impossessavo di un suo indumento perché nonostante puzzasse del cibo che aveva appena fritto riuscivo in qualche modo ad intercettare il suo ‘odore’. Con il tempo la convinzione che potessi per lei essere davvero un fardello è via via cresciuta ed è stata la cosa che poi mi ha ‘aiutata’ a prendere quella che io chiamo la ‘decisione finale’ e che nessun bambino dovrebbe mai prendere”.

Come sei giunta all’adozione?

“Il processo è stato relativamente lungo per me. Partiamo dall’asilo che mi era concesso di frequentare una tantum. Ad insospettire la maestra, a parte le assenze, era la mia frequente zoppia e magrezza. Spesso infatti ero picchiata da mia madre che evidentemente (non saprei cos’altro pensare), scaricava su di me la sua rabbia e frustrazione. Per cui avevo dolori, ora d una gamba, ora all’altra, zoppicavo, ero piena di lividi e croste sanguinolente, sporca e sottopeso e soprattutto eternamente affamata. E a nulla valsero le coperture posticce che mia madre si inventava per coprire le ferite o i silenzi che mi imponeva per nascondere i maltrattamenti, perchè la maestra capì tutto e avviò subito la procedura presso le assistenti sociali. E da quel momento che per me è cominciato un percorso risolutivo ma durissimo, perché ad un certo punto, mi è stato chiesto di scegliere se continuare a vivere in quella situazione, rimanendo  a casa, con mia madre,  oppure accettare di entrare in una casa famiglia nella prospettiva di un’adozione”.

Avevi appena 6 anni se non sbaglio e che hai deciso?

“Ho deciso per la casa famiglia, per cui, a pieno titolo, sono entrate in gioco le assistenti sociali. Ricordo che il distacco è avvenuto i modo relativamente graduale. Che quando venivano a casa –  perché mia madre a scuola ha cominciato a non mandarmi più -, le assistenti sociali erano accompagnate dai militari. Poi ho notato che ad un certo punto, mia madre ha tentato di ostacolare il processo di allontanamento. Più di una volta ho anche pensato che, in fondo, a modo suo mi volesse bene. Ricordo di averla vista piangere e una volta mi ha pure abbracciata, chiedendomi perdono e questo strano inspiegabile comportamento ha reso più difficile tutto”.

E tu l’hai perdonata?

“Sì perché ho sempre pensato – anche da piccola – che lei doveva aver avuto bisogno di aiuto quanto e come me. La verità è che non ce la faceva a crescermi, soprattutto dopo la nascita dell’ultima sorellina, frutto di un’altra relazione”.

Quando sei arrivata in casa famiglia?

“All’età di 6 anni, con la prima elementare. E lì la prospettiva di un’adozione – che bisognava anzi accelerare perché le famiglie preferiscono sempre i bambini molto piccoli – si è fatta davvero concreta, fino a quando la responsabile del centro, un giorno, mi ha presa in disparte dicendomi se volevo guardare un video per conoscere una coppia di sposi interessati a me. E d’istinto ho risposto ‘sì’, perchè ho sperato con tutte le mie piccole forze nell’amore di qualcuno. Ho sperato che finalmente fosse giunto anche per me quell’amore avvolgente, diritto sacrosanto di ogni bambino, che però a me era stato negato”.

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Quindi hai conosciuto il tuoi ‘genitori italiani

“Sì ed è stato amore a prima vista. Mi hanno colpito i loro occhi, non ne avevo mai visti di così buoni. E poi la loro semplicità. La loro gioia. Erano festosi. Per me erano cose sconosciute. Ho subito provato un forte desiderio di incontrarli, io che ero così diffidente per paura, non vedevo l’ora di toccarli, di parlare con loro. E quando mi fu chiesto se volevo conoscerli di persona, non esitai un secondo e risposi nuovamente sì. E così l’8 agosto i miei genitori partirono dall’Italia per la Colombia, nonostante la grande paura che mia madre aveva e ha tuttora di volare. Appena arrivati, dopo il primo momento di imbarazzo – ci pietrificammo tutti – ricordo il loro slancio e tutto quello che poi hanno fatto per ‘colpirmi’. Da ogni loro movimento traspariva forte il desiderio di volermi bene. ‘ Dopo 25 anni sei arrivata tu’ e ‘ Ti abbiamo aspettata tanto, sei il nostro gioiello’, queste erano le parole con cui mi hanno accolta ed avvolta, a parte gli abbracci. Se ci penso provo ancora una sensazione di infinita tenerezza”.

E quando sei arrivata in Italia?

“Il viaggio è stato lungo e ricordo di non aver chiuso occhio perché ero un po’ in ansia. Pensavo: d’accordo, loro mi vogliono bene, ma i parenti che ho visto nel video mi vorranno? Mi accetteranno? I cugini, gli zii e i nonni? Ecco, pensavo a questo e alla possibilità di essere respinta ancora una volta da qualcuno”.

E invece?

“E invece no. Un tripudio di palloncini. Applausi. Vennero a prenderci tutti all’aeroporto. Una scena incredibile. Indimenticabile. Ero frastornata. Ma per la prima volta felice. Eravamo davvero tutti emozionati”.

E quando sei arrivata a casa?

“Non era una casa, per me era una reggia. Puoi immaginare lo stupore che ho provato in quel momento quando mamma e papà mi hanno detto ‘questa è la tua cameretta’ e ‘questo è il tuo armadio’, pieno di vestitini puliti e nuovi. La cosa che mi ha colpito, voglio dirtelo, è stata la grande finestra che illuminava tutto l’ambiente. Sconvolgente. La bellezza era che tutto sembrava stesse aspettando proprio me”.

 E della tua famiglia d’origine hai saputo qualcosa?

 “Non più. Anche se le uniche persone a cui penso con nostalgia sono i miei fratelli, di cui purtroppo non so più niente. Non so dove sono, né con chi sono, nè come sono diventati. Gli ‘adulti’, invece, non mi hanno più cercata. Mia madre l’ho amata e odiata alla stesso tempo. Ma l’ho anche giustificata e perdonata tante volte e continuerò a farlo. Di mio padre non so che dire”.

Immagino che in Italia non sarà stato tutto facile. E’ così?

“Certo le difficoltà non sono mancate: la lingua innanzi tutto. Poi ho dovuto adattarmi alla nuova differente realtà. No, non è stato semplice, né per me né per i miei. La rabbia che avevo emergeva a tratti e si manifestava con flash di ribellione. Una volta, ma è stata l’unica, all’ennesimo tentativo di sfuggire alle prediche che giustamente mia madre mi faceva per educarmi, mi sono nascosta nella mia cameretta sotto la scrivania e piangendo ho gridato di voler tornare in Colombia. È vero che non avevo mai avuto amore , ma non avevo mai avuto neppure regole ed educazione. Ricordo ancora il volto di mia madre e quell’espressione confusa e ‘vinta’, a cui ha fatto seguito l’intervento di mio padre che, prendendomi in braccio, mi ha compresa, confortando e rassicurando, allo stesso tempo mamma, dicendole che quello era solo un ‘momento’. E così è stato. Sì mio padre Felice ha avuto ragione e mia madre Paola ha continuato ad amarmi insieme a lui ed ora eccomi qui. Loro mi hanno educata, mi hanno insegnato a distinguere il bene dal male, a capire ciò che è giusto da ciò che non lo è. Mi hanno insegnato che potevo fidarmi degli altri, che gli altri non sono ‘nemici’. Mi hanno insegnato a vivere.  E come se grazie a loro fossi nata una seconda volta. Voglio ringraziarli per la possibilità che mi hanno dato. Per la loro infinita pazienza. Per il loro amore che mi ha guarita. Voglio dirgli che sono orgogliosa di essere loro figlia e che per me sono tutto. Sono l’essenziale. Senza di loro mi sentirei persa. E poi che mi prenderò cura di loro come hanno fatto con me. Ed è a loro che dedico e dedicherò ogni mio piccolo o grande successo”.

Dopo questa bellissima dichiarazione d’amore a mamma e papà, cosa vorresti dire ancora?

“Che questo era il mio destino. Che dovevo vivere tutto quel dolore per gustare queste gioie. La bellezza, la bontà, la felicità, la vita stessa, si apprezza veramente solo se hai patito. Perché bene che ti vada la vita tranquilla diventa la normalità. Mentre se hai sofferto avverti davvero il cambiamento e lo apprezzi fino in fondo. Per cui, alla fine, mi sento una guerriera. Una che è stata messa di fronte ad una scelta infinitamente più grande di lei ma che ce l’ha fatta. Io ho scelto di vivere. E ho deciso di rendere pubblica la mia storia per spiegare al mondo cosa prova un bambino quando è abbandonato e non amato. Al bambino non interessano i lussi, soldi, gli agi. Al bambino interessa solo sentirsi amato, accudito, accolto. Ai  genitori che adottano vorrei dire anche di non ‘scartare’ il passato del bambino. Anche quello è parte della sua vita e non può essere reciso. Poi vorrei dire una cosa che potrebbe apparire banale, per me però non lo è. Vi prego, non disprezzate i compleanni. A volte sento gente che non vuole festeggiarli o che non considera importanti certi eventi così personali. Devi sapere che fino all’età di 8 anni io non conoscevo cosa fosse un compleanno e ignoravo di essere nata il 10 novembre. L’ho scoperto per la prima volta in casa famiglia ed è per me stato bellissimo…

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Elvira Zammarano

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