La cucina e la panetteria delle clarisse di Turi, tra odor di santità, spezie e preghiera

Le clarisse di Turi erano conosciute per la loro bravura in cucina e nella panetteria. Il tempo per loro si divideva tra la preghiera, il  lavoro e il silenzio della clausura.

La cucina e la panetteria delle clarisse di Turi, tra odor di santità, spezie e preghiera
Nel dipinto si vedono le monache intente ad infornare dolci

Il complesso monastico di Santa Chiara di Turi, fu costruito tra il 1623 e il 1631 per volontà dei fratelli Elia e Vittore de Vittore. Il monastero, nella prima metà del ‘700, con il suo chiostro, l’annessa chiesa di Santa Chiara e i due belvedere, al catasto onciario, era tassato per ducati 17596,00. Una proprietà di circa mille ettari di terreno, coltivati con vigne, uliveti, orti e seminativi. Tra i possedimenti del complesso c’erano anche masserie, trappeti, molini, e aree boschive. Il convento risultava il più ricco ente di Turi.

Le regole della clausura erano rigide, e fra un canto ed un’orazione, le monache si assicuravano l’autonomia necessaria per la gestione di tutte le attività che ruotavano intorno al convento.

Nel silenzio caustrale, le suore si dedicavano all’arte del cucito, filavano la lana, ricamavano preziose tovaglie e lenzuola in cotone e lino, stoffe tessute da loro stesse. Inoltre erano dedite all’arte della cucina e della pasticceria,  trascorrendo molto del loro tempo fra i fornelli alimentati da legna e carbone, utilizzando vecchi ‘caldari’ e mestoli in rame, per preparare e mettere a punto antiche ricette: pasta fresca, pagnotte di pane, taralli, conserve, vincotti, rosoli, creme, dolci secchi, dolci di mandorla, utilizzando spezie varie e conservando i segreti del convento. Le materie prime a loro disposizione erano: olio, latte, vino, verdure, carni e frutta, e provenivano dai loro possedimenti terrieri, e dalle masserie gestite e condotte dai massari e contadini.

Le monache clarisse si dotarono di regole, anche nel contesto culinario, individuando pietanze da preparare nei diversi periodi dell’anno liturgico, definendo i tempi di digiuno e di astinenza. Le claustrate, erano perlopiù donne colte, appartenenti alle famiglie ‘maggiorenti’, conoscevano il latino e l’italiano, e organizzavano con logica e severità la loro vita monacale. Il convento era guidato dalla Madre Badessa, figura saccente ed autoritaria. Altre figure, erano quelle delle monache subalterne, le ‘converse’, impegnate a spazzare e pulire gli ambienti, a ‘capare’ le erbe campestri e le verdure, e a preparare i vari cibi per le consorelle e per gli eventuali pellegrini e bisognosi che bussavano al convento.

La cucina del monastero era un luogo percorso da un forte spirito di comunità e, nella struttura architettonica del convento, costituiva, insieme al refettorio e alla chiesa, un elemento portante, intorno al quale si sviluppavano tutti gli altri spazi e le attività conventuali.

Anche il monastero delle Clarisse di Turi, era provvisto di una grande cucina, composta da ben due focolari, e in un altro locale attiguo, chiamato ‘panetteria’, c’erano forni a legna ed una grande cantina interrata, dove le clarisse, conservavano le botti in legno piene di vino, prodotto dalle uve delle loro vigne. La cantina delle clarisse, oltre ad essere collegata dall’interno, aveva un accesso anche dall’attuale piazza Francesco Curzio. Agli inizi del ‘900 i locali vennero locati dall’amministrazione comunale, ad un ‘cantiniere’ di Turi, ricavando un canone annuale di lire 190,00.

La cucina e la panetteria, in origine si affacciavano su una pubblica strada, oggi scomparsa, “strada forno delle Monache”, questa era la sua denominazione. Per il convento, la stradella era un luogo di incontro con l’esterno, e quando i contadini e i massari, portavano i prodotti della terra, le monache ripagavano, donando loro, dolci di mandorle, ceste di taralli,  pagnotte di pane, mostaccioli, sasanelli, sospiri, copeta, e la famosa faldacchea di Turi o bocconi di Dama, diventata dallo scorso aprile presidio Slow Food. Una antica ricetta tramandata a Turi da generazioni, e di sicura provenienza conventuale.

Dopo tanti anni di storia, il convento delle Clarisse di Turi, con l’unità d’Italia, subirà le leggi ‘eversive’ del 7 luglio 1866, che porteranno alla soppressione degli enti religiosi, espropriando le loro proprietà e i loro beni. Nel 1892, queste leggi porteranno  alla successiva acquisizione del monastero da parte del Comune di Turi. Nel 1894, a seguito di un progetto di riqualificazione e cambio d’uso il convento delle clarisse divenne  scuola elementare.

Nel 1905, l’ex convento delle clarisse, versando ormai in uno stato di degrado, subirà un nuovo e sostanzioso intervento edile, fatto di ulteriori e corpose demolizioni di antichi manufatti e opere murarie. Tra questi ci fu anche la demolizione ‘delle antiche cucine’ con i suoi ‘due focolari’ e le relative canne fumarie, nonchè il suo soffitto in legno.

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Stefano De Carolis

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