È stato fissato per il 14 gennaio 2020 il processo che vede imputati una coppia di conviventi rumeni, F. C. e P. C. , il loro figlio, S.C. e la compagna di lui, M.R.I. Il rinvio a giudizio per i 4, è stato disposto dal Gup del Tribunale di Bari, Giovanni Abbatista, con l’accusa di sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù, aggressioni, violenze sessuali perpetrati in maniera continuativa, ai danni di 3 connazionali, J.S., I.B.S. e P.C.R., tutte minori. I fatti contestati dalla Pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, Simona Filoni, risalgono al periodo che va da marzo a settembre 2018 e sarebbero stati tutti compiuti in un campo nomadi di Foggia.
Le ragazze, erano considerate meri “oggetti” su cui esercitare un potere pari al diritto di proprietà. Vita degradante, botte, maltrattamenti, prestazioni sessuali imposte e minacce di morte erano “i mezzi” attraverso cui la banda criminale otteneva e si spartiva i proventi dell’attività di prostituzione. La SS 16 – in direzione Lucera – era il luogo individuato per l’attività illecita. Qui le ragazze venivano accompagnate quotidianamente e controllate dai loro aguzzini per evitare possibili fughe. Ma soprattutto il controllo era esercitato affinché l’attività fosse condotta secondo i canoni da loro stabiliti. Tutto era predisposto minuziosamente, dall’uso dei preservativi ai tempi della prestazione, alle tariffe che dovevano essere strettamente connesse al tipo di prestazione.
Addirittura J.S., nonostante fosse al settimo mese di gravidanza, era costretta a prostituirsi contro il suo volere. In un’occasione, dopo un rifiuto, è stata aggredita da un componente del clan con calci, pugni, cinghiate su ogni parte del corpo, sulla faccia e sulla pancia e poi trascinata per i capelli, dove strisciante veniva rinchiusa all’interno della baracca con lucchetto e catenaccio. L’idea era anche di vendere il bambino per € 28.000. La svolta si è avuta quando J.S. è riuscita a fuggire, denunciando agli agenti della Mobile l’inferno in cui era precipitata.
Per il processo, accanto alle vittime, si è costituita parte civile Gens Nova con l’avvocato Gennaro Gadaleta, uno dei legali della nota associazione, presieduta dall’avvocato Antonio La Scala, che da anni si batte per la tutela dei diritti umani e sociali e della Legalità.