Undici ore al giorno in cambio di 1,80 euro all’ora, quando il contratto collettivo nazionale, per le stesse mansioni, ne prevede almeno 10. Il giovane bengalese, con il compito di pascolare le pecore, usciva con il gregge alle prime luci dell’alba per rientrare, nell’alloggio che gli era stato assegnato, fatiscente ed in cattive condizioni igieniche, come certificato dall’Asl, al tramonto. Il ragazzo senza fissa dimora e senza permesso di soggiorno, era “utilizzato” come factotum all’interno dell’azienda intestata al 46enne, pregiudicato, D.F.D.
L’uomo, ora agli arresti domiciliari per sfruttamento del lavoro e favoreggiamento all’immigrazione clandestina, non ha mai riconosciuto al dipenente il giorno di riposo previsto dalla normativa o le ferie, né una minima formazione sui rischi per la salute e la sicurezza relative alle mansioni svolte e neppure la valutazione sullo stato di salute del lavoratore.
Il povero ragazzo dormiva in un container, costruito assemblando le cabine di un camion. Per scaldarsi il cibo, un fornellino a gas, mentre per lavarsi si serviva dell’acqua di un pozzo a cui si abbeveravano anche gli animali. Da almeno due mesi, benché esiguo, il ragazzo non riceveva compenso. Né per lui erano previsti aumenti o miglioramenti della vita lavorativa. Anzi il pregiudicato approfittava dello stato di difficoltà del giovane, che accettava tutto pur di inviare il misero guadagno a moglie e figli rimasti nel paese d’origine.
Oltre ai domiciliari, il 46enne imprenditore dovrà rispondere anche di impiego di lavoratore “in nero”, violazione delle disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare ed il divieto di assunzione di lavoratori senza permesso di soggiorno e dovrà pagare, tra sanzioni amministrative ed ammende, € 60mila, con la sospensione dell’attività produttiva.