Attenti, il cloro nelle piscine non è sempre sinonimo di sicurezza

La bella stagione, complici la calura estiva e le vacanze, richiama molti di noi a frequentare le piscine. Non si tratta però di un semplice rimedio “vacanziero”, poiché spesso, la piscina, rappresenta anche un mezzo per praticare sport in qualunque periodo dell’anno. A rigor di logica, dal punto di vista igienico, dovrebbe essere un luogo più che sicuro. L’idea va immediatamente ai nostri bambini e a quando e quanto ridono felici (aprendo di continuo la bocca), immersi in un liquido che crediamo idoneo igienicamente e che, invece, dati alla mano, non lo è per niente. Infatti, al di là delle belle e buone intenzioni, che vanno dal buon senso, all’educazione, al buon gusto e al rispetto dell’altro, si stima che il 30-40% dei frequentatori delle piscine fa pipì in acqua. Lo afferma uno studio, molto interessante, della dott.ssa Alappatt del Fariborn Medical Center in Ohio che, dati alla mano, ha evidenziato un’alta concentrazione di urina nell’acqua di diverse piscine, pubbliche e private, e vasche idromassaggio. E a nulla serve la credenza, assolutamente da sfatare, di un cloro che colora la pipì nel momento in cui viene rilasciata. Così come non è possibile pensare che il cloro può agire come disinfettante perenne, poiché più l’acqua è impura e meno efficace è la sua azione. Ma il problema non riguarda solo il proliferare dei batteri, quanto piuttosto sostanze come l’acesulfame potassico, presente spesso nell’urina, che al contatto con il cloro può  provocare reazioni allergiche agli occhi e alle vie respiratorie. Nel frattempo come ci difendiamo? Sicuramente al primo posto c’è il buon senso e il rispetto per gli altri, adulti e bambini. Non si può scambiare un luogo di relax per una toilette pubblica, poi buona norma è fare frequenti docce per tutto il periodo che decidiamo di stare in piscina, ma soprattutto prima e dopo l’immersione.

 

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Elvira Zammarano

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