L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing o più semplicemente EMDR, è una tecnica d’eccellenza, messa a punto da Francine Shapiro nel 1987 e perfezionata nel 1990, che si basa su un processo di desensibilizzazione e rielaborazione del trauma, mediante il movimento degli occhi. Relativamente giovane, questo approccio psicoterapeutico, viene utilizzato per fornire sostegno a persone colpite soprattutto da grandi eventi traumatici. È di questi giorni la notizia dell’onorificenza conferita da Sergio Mattarella a Isabel Fernandez, Presidente dell’associazione EMDR, per il lavoro svolto dagli specialisti in sostegno dei familiari delle vittime e dei sopravvissuti ai disastri di San Giuliano, dell’Aquila, del crollo del Ponte Morandi e del recente dirottamento del pullman di Crema. Sia il Ministero della Salute che quello della Difesa hanno riconosciuto l’alto valore scientifico della tecnica, connotandola tra le più efficaci. Ma in che modo l’EMDR agisce sul trauma, e quindi sul “dolore psichico”, trasformandolo poi, in qualcosa di accettabile per la persona? Lo chiederemo alla Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, Edvige Zatton, specialista in EMDR, nei disturbi dell’adulto, del bambino e dell’età evolutiva. Libero professionista presso Empea, un centro clinico e di ricerca, la dottoressa Zatton, è impegnata, attualmente, anche in attività di supporto presso la Legione Allievi della Guardia di Finanza di Bari.
Un trauma che viene recuperato, trasformato e reso accettabile, com’è possibile?
«Ciò che emerge in modo chiaro, ad esempio, nel Disturbo Post Traumatico da Stress, è che il ricordo traumatico rimane intonso come al momento in cui l’evento si è verificato. Con la stessa vividezza accompagnata dalla sensazione corporea e fisiologica della paura, quasi che l’evento, al momento del ricordo, si stia verificando nuovamente. Questo accade perché il nostro sistema neurobiologico di difesa, entrando in azione al momento dell’evento traumatico blocca, in una rete neurologica, le informazioni in ingresso – che altrimenti opprimerebbero il soggetto – e quindi anche l’elaborazione dell’evento. Dando così luogo alla sofferenza. Con l’EMDR, incece, il ricordo traumatico viene recuperato, elaborato, in modo da essere poi integrato nella memoria e consolidato nella storia personale».
Quali disturbi cura l’EMDR, e quali sono i suoi più importanti ambiti di applicazione?
«Nato come trattamento del Disturbo Post Traumatico (PTSD) da Stress, l’EMDR, oggi, viene utilizzato nella cura di gran parte dei problemi psicologici, inclusi i disturbi di ansia, alimentari, il disagio psicologico, la depressione e nelle dipendenze. L’idea di fondo è che per tutti questi disturbi alla base vi sia una esperienza traumatica che, nel PTSD, è intesa come esperienza che ha messo a repentaglio la vita e l’incolumità psico-fisica del soggetto. Pensiamo per esempio agli incidenti, alle malattie croniche o invalidanti, agli abusi o ai maltrattamenti. Negli altri disturbi si parla di esperienze minori o di forte turbamento emotivo associato ad un’idea negativa del proprio sé. Per quanto riguarda gli ambiti, L’EMDR viene applicata anche in contesti di primo intervento per il supporto psicologico alle persone coinvolte in catastrofi naturali ed eventi traumatici come incidenti e ai famigliari delle vittime proprio per facilitare da subito il processo di elaborazione delle informazioni traumatiche, ad evitare che sfocino nei drammatici e dolorosi disturbi psicologici».
E nello specifico la tua esperienza?
«Provenendo da una formazione in psicoterapia cognitivo comportamentale, ho integrato da poco la formazione sull’EMDR, posso però affermare che constato nei pazienti una grande velocità di rielaborazione di esperienze traumatiche, più o meno importanti e, soprattutto, che l’elaborazione avviene in modo pressoché autonoma. Importante nella mia esperienza clinica è stato osservare la capacità dell’EMDR di integrare informazioni corporee che sono invece, piuttosto sottovalutate nella psicoterapia cognitivo comportamentale».