“A babbo morto” è un’antica espressione che viene utilizzata per fare riferimento a un pagamento che si presume verrà effettuato molto in là nel tempo, più specificamente senza che vi sia una scadenza predeterminata. Questa curiosa frase idiomatica trae origine, come spiega l’Accademia della Crusca, “da una particolare forma di prestito praticata anticamente dagli usurai nei confronti di giovani che, trovandosi in disastrose condizioni economiche, avrebbero restituito la somma di denaro ricevuta solamente dopo la morte del padre, cioè dopo la riscossione dell’eredità familiare. Si sottintende quindi che il debito in questione venga saldato in tempi molto lunghi”. Proprio per questo motivo, il significato si è esteso scherzosamente a indicare, come si afferma nel Gradit “acquisti e simili con lunghe e improbabili dilazioni di pagamento”, o, addirittura più ironicamente, come si legge sul Dizionario dei modi di dire della lingua italiana di Lapucci, “dare un prestito a fondo perduto”. Attualmente, nel linguaggio, ci si riferisce a qualsiasi pagamento, conto o debito che preveda attese molto lunghe per la riscossione, che potrebbe anche non avvenire mai. Tra le costruzioni verbali registrate si segnalano: pagare a babbo morto, prendere soldi a babbo morto, restituire a babbo morto, dare soldi a babbo morto. Il Deli registra la prima attestazione di questo particolare modo di dire nel Dizionario universale, critico, enciclopedico della lingua italiana del 1797, dove Francesco Alberti di Villanova scrive “contratto a babbo morto”. Successivamente, soltanto nella quinta edizione del suo vocabolario (1863-1923), l’Accademia della Crusca accoglie il sostantivo “babbomorto’ (con univerbazione), e segnala come esempio ‘Per prendersi quel semplice trastullo […] Dovrà farsi uno scrocchio (= prestito ad usura), un babbomorto’ tratto dal poemetto La civetta (1799) di Filippo Pananti. Il detto, come si evince dalla parola “babbo”, nasce in Toscana, dove è ancora oggi molto diffuso. In questo contesto regionale, esso si allontana dal significato originario e si evolve in tre accezioni particolari. Nella prima, più legata al senso iniziale, esso rimanda all’idea di indolenza, di svogliatezza (es. “Che fai lì a babbo morto?”); quest’uso, secondo l’edizione 2014 del Devoto Oli, è quello più attestato fra i toscani. La seconda è quella registrata dal Vocabolario del fiorentino contemporaneo ovvero ‘senza informarsi, a caso’ (es. “Ma che vòi, gl’è andato lì a babbo morto, un sapéa nulla”). Ad essa può essere assimilata l’ultima che, secondo quanto affermano Quartu e Rossi nel Dizionario dei modi di dire della lingua italiana, è decisamente comune in Toscana e si riferisce a un gesto o a un comportamento d’impulso, senza riflessione. Tutte queste sfumature dimostrano che ci troviamo di fronte a una locuzione molto radicata in terra d’origine e quindi sentita come naturale dai parlanti toscani.