Processo ai caporali di Nardò, la sentenza, “Non è reato”

Di qualche giorno la notizia che i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Lecce hanno assolto 11 dei 13 imputati condannati in primo grado. Il reato quello di associazione a delinquere, finalizzata alla riduzione in schiavitù dei lavoratori migranti, impiegati nella raccolta delle angurie e dei pomodori in Salento, a Nardò. Trattasi di imprenditori ortofrutticoli e caporali che in  Corte d’Assise, nel luglio del 2017, erano stati condannati  a pene comprese tra i 7 e gli 11 anni di reclusione. Ora sono stati assolti dai giudici in quanto la Corte ha accolto la tesi del collegio difensivo secondo cui, nel periodo di contestazione dei fatti, tra il 2008 e il 2011, il reato di riduzione in schiavitù non era previsto dalla legge come reato. “Sono deluso. Provo una sensazione di forte ingiustizia». Yvan Sagnet, ingegnere ed ex bracciante di Boncuri, non nasconde l’amarezza per la sentenza. Sagnet  nel 2011 era divenuto  il portavoce dello sciopero che durò un mese e che portò all’introduzione del reato di caporalato. Questa sentenza significa, di fatto, che a vincere sono stati  i caporali. La riduzione in schiavitù da parte dei caporali,  a Nardò, come in tutto il resto d’Italia in cui esiste il fenomeno,  si attuava  verso soggetti vulnerabili, senza permesso di soggiorno. Essa  prevedeva  la  sottrazione dei documenti per impedire ai lavoratori di muoversi e lo sfruttamento senza rispetto  alcuno per i comuni bisogni primari di ogni essere umano. Con l’assoluzione cadono anche i risarcimenti stabiliti in primo grado. I giudici hanno invece rideterminato la pena inflitta a Ben Mahmoud Jelassi Saber e per Ben Alaya Akremi Bilel, gli unici due caporali di origine straniera a pagare. «In Italia- continua Sagnet- ci sono circa 400 mila braccianti notevolmente sfruttati: nessuno avrà più il coraggio di denunciare. Non c’è stata giustizia, molti di questi lavoratori, che vivono ancora in riduzione in schiavitù in varie parti d’Italia, non si ribelleranno agli sfruttatori. È questo il messaggio che arriva da questa sentenza». Grazie all’inchiesta di Nardò, il tema del caporalato è diventato di grande rilievo nel nostro paese, ma occorre mutare gli approcci, evitando quelli di tipo propagandistico. Al problema dell’illegalità imprenditoriale diffusa ci si oppone, infatti, non con semplici sgomberi ma  con la diffusione di una rete di lavoro agricolo di qualità, con  più prevenzione e  controlli da parte degli ispettori nei centri degli impieghi e con azioni sempre più  mirate. E con sentenze che rispettino il valore imprescindibile della dignità umana, senza richiami a cavilli di forma che inficiano il senso stesso del progresso della Legge e del suo doversi applicare a tutti in egual misura.

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Maria Teresa Radogna

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