Continua il nostro viaggio alla scoperta delle origini storiche e degli aneddoti che si celano dietro le espressioni idiomatiche di uso quotidiano oggi ci occuperemo della celebre frase: “Essere come l’Araba Fenice’. Per gli antichi Egizi, l’Araba Fenice era raffigurata con la corona o con l’emblema del disco solare; non era dunque simile a un uccello tropicale, ma piuttosto a un passero o ad un airone che risorgeva dalle acque e non dalle fiamme come nel mito greco. Tra i greci, la Fenice era una sorta di aquila reale con colori splendidi come l’oro, l’azzurro, il rosso e la porpora. Lunghe piume scivolavano dal capo e la coda era formata da ulteriori tre lunghe piume: una rosa, una rossa e una azzurra. Sulla sua esistenza ci sono tanti interrogativi e molti poeti l’hanno considerata soltanto il frutto della fantasia, altri sostengono invece che si trattasse di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri. Secondo una versione del mito, l’Araba Fenice, dopo aver vissuto per 500 anni, prima di morire costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma, accatastava piante balsamiche e si adagiava al sole, lasciando che quest’ultimo la bruciasse. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice che nell’arco di tre giorni volava ad Eliopoli e si posava sopra l’albero sacro. Il poeta melodrammatico Metastasio sintetizzò così il significato allegorico dell’irreperibilità di quell’uccello mitologico: “che ci sia ciascun lo dice; dove sia nessun lo sa”. Essere come l’Araba Fenice è divenuto un proverbio usato per indicare qualcuno o qualcosa irraggiungibile o che non si lascia trovare. Ma ciò che più interessa è la simbologia che la Fenice rappresenta, ovvero la morte e la risurrezione che, nella vita quotidiana, possono essere associati in senso lato alla resilienza vale a dire alla capacità di non lasciarsi abbattere dalle difficoltà della vita, di reagire e di rialzarsi più forti di prima. Del possibile legame tra la Fenice e l’essere umano, ne scrive Carl Gustav Jung nel suo libro “Simboli della trasformazione”, dove la capacità di risorgere dalla morte viene paragonata alla possibilità di rinascere dopo il fallimento. La Fenice è dunque un simbolo di forza, si dice che le sue lacrime fossero curative e che avesse una grande resistenza fisica. Riuscendo poi a controllare il fuoco, essa diveniva quasi indistruttibile. Ancora oggi, per esempio in Cina, è espressione di potere, prosperità e armonia dell’universo.