A renderlo noto l’Amministrazione comunale sul profilo Facebook del Comune di Selvino, in un post pubblicato nella serata di venerdì 4 gennaio: «Ci rammarica segnalare che è stata trafugata la targa in metallo depositata presso l’albero della memoria, al Parco Vulcano, in occasione della visita degli ex bambini di Selvino di Sciesopoli. Essendo per noi un simbolo importante, a ricordo del passaggio di 800 bambini ebrei che a Selvino hanno trovato nuova vita, faremo le dovute denunce presso le forze di polizia. Chiediamo la collaborazione di tutti nell’inviarci segnalazione nel caso venisse avvistata sul territorio, oltre che richiedere agli autori di questo sgradevole gesto di riposizionarla presso l’albero della memoria». Ma facciamo un passo indietro nella Storia. Il complesso architettonico di “Sciesopoli” venne inaugurato dal regime fascista nel 1933 come colonia montana dei Figli della Lupa e dei Balilla. Esso fu progettato dall’ architetto razionalista Paolo Vietti-Violi, assai celebre allora, e costruito secondo le più avanzate tecnologie del tempo, mutuando il nome da un eroe del Risorgimento, l’artigiano e patriota milanese Amatore Sciesa. La colonia venne quindi attrezzata con dormitori, refettori, una piscina, un cinema, un’infermeria e un parco verde di 17mila metri quadrati e cortili per le adunate, dove i ragazzi fascisti venivano addestrati a essere futuri soldati del regime. Caduto il regime e terminata la guerra, nel settembre del 1945 una delegazione guidata da Raffaele Cantoni, presidente della Comunità Ebraica di Milano, e da Moshe Ze’iri, membro della Brigata Ebraica, divenuto in seguito il direttore della Casa, si recò da Luigi Gorini, delegato dal Cln di Milano a controllare i beni requisiti, e ottenne così la colonia “Sciesopoli” per i bambini ebrei rimasti orfani e sopravvissuti alla Shoah. I bambini di Selvino, così furono ribattezzati, avevano bisogno di riprendere le forze prima di trasferirsi in Palestina. Qui trovarono “un paradiso a lungo sognato, un castello da fiaba e a fatica si resero conto di essere liberi, rinati a nuova vita”, come racconta nel 1997 Aharon Megged, nel suo libro “Il Viaggio verso la Terra Promessa” (edizioni Mazzotta). Nel 1983 un gruppo di sessantasei ebrei, che erano stati tra quegli 800 bambini profughi nel complesso, fece ritorno a Selvino, accolti dal sindaco Vinicio Grigis e dalla cittadinanza. A seguito di quel viaggio venne sancito un gemellaggio tra il Comune di Selvino e il kibbutz Tze’elim, nella regione del Negev, in cui molti dei “bambini di Selvino” erano andati a vivere a partire dal 1946. Nel 2015 i Bambini di Selvino tornarono ancora e piantarono un albero, a ricordo dell’ospitalità ricevuta, sotto il quale venne posta la targa. Il gesto di qualche giorno fa, che rammenta quello delle pietre d’inciampo della Memoria divelte a Roma la notte tra il 9 e il 10 Dicembre scorso, vorrebbe forse sottolineare, nella visione distorta di qualcuno, che si può cancellare la Storia, ma questi presunti ladri della Memoria ignorano che non è una targa commemorativa che suggella il senso del ricordo, ma il cuore e la mente di quanti continuano a credere nel valore di tramandare la testimonianza di quanto è stato. L’atto vandalico non scalfisce i significati della targa, trafuga un oggetto, credendo di svilirne il simbolo. La Memoria è assai più forte.
E se invece la targa sia stata trafugata per il solo gusto di avere un importante cimelio fra le cose di casa, da ostentare? Qualunque sia l’intenzione del trafugatore, il fatto è davvero tragico. Il non rispetto di una memoria collettiva e condivisa è il vero affare su cui lo Stato deve impegnarsi ad affrontare con una seria azione educativa. Ma si questo fronte abbiamo ancora molta strada da fare.