La rivolta del Ghetto di Varsavia, un evento di straordinaria portata storica non solo per la storia di un popolo, quello Ebraico, ma per la Storia dell’uomo in generale. Oggi si scrive l’ultima sua pagina, quella definita, da cui le generazioni future, dovranno prendere le mosse per ripensare e confrontarsi con quei giorni: è morto Simcha Rotem, l’ultimo combattente ancora in vita di quell’evento. Kazik, questo il suo nome di battaglia, era entrato diciannovenne nei ranghi della ŻOB, la Żydowska Organizacja Bojowa, termine polacco per “Organizzazione ebraica di combattimento”, un gruppo di giovanissimi ragazzi e ragazze, appartenenti al movimento sionista di sinistra, che tra il 1942 e il 1943, tenne testa e diede filo da torcere al potente esercito tedesco, coadiuvato dalle SS ucraine. Un esempio? Nel Gennaio del 1943 Himmler aveva dato l’ordine di deportare 24.000 ebrei dal ghetto, ma, grazie alle azioni di guerriglia della ŻOB, i tedeschi riuscirono a deportarne solo 650. La rivolta vera e propria scoppiò nel giorno di Pesach (la Pasqua Ebraica) dello stesso anno, il 19 Aprile 1943, quando le truppe tedesche entrarono nel ghetto per liquidarlo. Occorse loro quasi un mese per portare a termine quel compito, chiamato dai tedeschi Grossaktion, che nelle intenzioni dei gerarchi doveva durare solo qualche giorno. Jürgen Stroop, il generale che comandava l’operazione, per celebrare il successo ordinò di radere al suolo la Grande Sinagoga di Varsavia. Il ghetto era distrutto e quello che rimaneva della rivolta era stato schiacciato, ma l’insurrezione del Ghetto mostrò a tutto il mondo che le vittoriose armate hitleriane non erano affatto tali e che alcune centinaia di uomini, male armati, tranne che della loro volontà a resistere, potevano tenere in scacco l’esercito tedesco. Quando tutto sembrava perduto ( il rapporto finale stilato da Jürgen Stroop il 16 maggio 1943 riportava:«180 ebrei, banditi e subumani, sono stati distrutti. Il quartiere ebreo di Varsavia non esiste più. L’azione principale è stata terminata alle ore 20:15 con la distruzione della sinagoga di Varsavia… Il numero totale degli ebrei eliminati è di 56.065, includendo sia gli ebrei catturati che quelli del quale lo sterminio può essere provato. ») però, fu per l’appunto Kazik a guidare le ultime decine di combattenti sopravvissuti nella parte ariana di Varsavia e da lì nei boschi attorno alla città, da cui poterono poi unirsi alle formazioni partigiane polacche per proseguire la lotta contro l’esercito invasore. Emigrato nel 1947 con la sua famiglia in quello che di lì a poco diverrà lo stato di Israele, ha vissuto fino a oggi a Gerusalemme, diffondendo la memoria di quei giorni. La sua scomparsa ci coglie a pochi giorno dal giorno di Assarà Be Tevet, che si è celebrato il 18 dicembre scorso, in cui si ricorda oltre che l’assedio di Gerusalemme voluto da Nevuchadnetzar (Nabucodonosor), re di Babilonia, nell’anno 586 ante era cristiana, anche tutte le vittime della Shoah la cui data di morte e il luogo di sepoltura sono sconosciuti, come decretato dal rabbinato israeliano dopo la costituzione dello Stato di Israele, nel 1948. Il cerchio della Storia si chiude… A noi che restiamo il dovere di ricordarne i significati per tramandarli alle nuove generazioni.
Bellissimo Maria Teresa! Non conoscevo questa tua passione, è vero bisogna continuare a ricordare per evitare che simili avvenimenti possano ripetersi . Brava!
È bello leggere testimonianze su una pagina decisamente oscura della storia di Europa, ma senza dubbio degna di essere ricordata. Rievocare il coraggio di chi ha resistito contro una tale brutalità, professando il culto della vita in un clima di morte e distruzione, aiuta a sperare che possa esserci qualcuno, allora come oggi, disposto a lottare per un mondo più giusto. Shalom a tutti!
Distruggere una città, un ghetto, una sinagoga, una popolazione è sempre stato semplice per i “padroni della storia” ed anche la distruzione del ghetto di Varsavia lo dimostra. Ma il focus su cui le generazioni future, a partire dalla nostra, dovrebbero mettere l’accento, è la forza mostrata da poche persone, i rivoluzionari, che con semplici armi, ma tanta sagacia, hanno dovuto difendersi dalla furia del nemico, in questione i tedeschi. Bene! È giusto guidare i nostri ragazzi verso una simile riflessione, per far capire loro che c’è sempre la possibilità di “combattere il mostro”, anche quando questo ci appare ben congeniato.