A partire dall’ultima settimana di novembre, Bari ospiterà all’interno dello storico e appena ristrutturato Teatro Margherita, la video-mostra “Van Gogh Alive – The experience”. Aspettando questo evento, conosciamo questo straordinario artista. Non è facile parlare di un pittore come Vincent Van Gogh, uno dei più straordinari autori europei di fine Ottocento, capace di conferire all’arte un impronta emotiva tutta nuova, allontanandola in modo deciso da un’idea di rappresentazione oggettiva della realtà e trasferendo in essa un carattere espressivo del tutto personale. Solo questo aspetto è sufficiente a farlo uscire dall’ambito della sua contemporaneità, per collocarlo nel novero degli artisti più grandi di tutti i tempi. A Van Gogh si lega spesso, nell’immaginario collettivo, l’idea dell’artista pazzo, in maniera talvolta anche semplicistica e banale. Scrivere di lui è veramente un rischio: si può scadere facilmente nel “già detto”. Gli artisti famosi sono infatti troppo visti e troppo celebrati e anche usati e “abusati” in chiave pop: con le immagini di Van Gogh, infatti, si produce di tutto: dai set di lenzuola alle cover per i cellulari e per i tablet. Bisogna quindi dimenticare i magneti per il frigo e i portachiavi e lasciare che lo sguardo incontri autenticamente l’artista e le sue opere. Olandese di nascita, per tutta la vita, Vincent cercò di trovare il suo posto nel mondo, tentando diverse strade e diversi mestieri, ma tutto ciò che da lui fu intrapreso finì sempre nel fallimento. Un fallimento totale e senza sconti. E’ probabile che questo “scollamento” fra sé e il mondo sociale abbia prodotto e acuito, nell’animo di Vincent, una divaricazione emotiva sempre più profonda, che lo ha portato, nel tempo, ad assumere comportamenti sempre più instabili e nevrotici. Per tutta la vita l’unico punto di riferimento affettivo per lui fu il fratello Theo. A Vincent sono state attribuite, nel corso del tempo, praticamente tutte le malattie psichiatriche conosciute. E’ probabile che l’artista soffrisse di una forma di disturbo bipolare, indicata come “sindrome maniaco depressiva”; egli alternava, infatti, momenti di iperattività ad altri di profonda depressione. Comparvero poi allucinazioni, crisi sempre più frequenti e anche forme di autolesionismo, come il celebre taglio dell’orecchio autoinferto, a seguito di un duro litigio con il pittore amico Paul Gauguin. Il 27 luglio del 1890, giunto al limite della sopportazione, Vincent si recò in un campo e si sparò un colpo di rivoltella al petto. Morì dopo tre giorni di agonia, a trentasette anni. Vincent iniziò a dipingere piuttosto tardi. La sua produzione pittorica è in realtà concentrata in pochi anni di febbrile attività, e conta circa novecento opere pittoriche, senza contare gli innumerevoli disegni e schizzi grafici. Ha dipinto di tutto: paesaggi, ritratti, autoritratti, nature morte. I primi anni furono caratterizzati da toni di colore scuri, con improvvisi bagliori luministici, in riferimento al Realismo francese. Quando conobbe i pittori impressionisti, a Parigi, la sua tavolozza si schiarì, ma la lezione sulla luce e sul colore venne interpretata in modo completamente diverso e personale.La sua stesura del colore era piena, concreta, materica. Ogni tono vibrava in rapporto all’altro, fino alla saturazione, e determinante fu anche l’influenza dell’arte giapponese, di gran moda in quel periodo. E’ sconcertante che il suo stile abbia assorbito tutte le tendenze e le mode contemporanee, restando assolutamente unico, forse troppo “avanti” rispetto ai suoi tempi, incomprensibile per il pubblico di allora. Ogni opera nasconde un presagio, la consapevolezza in Van Gogh, forse, di non avere via d’uscita e di essere diretto inesorabilmente verso la fine. Quando si guarda qualsiasi opera di Vincent, arriva chiaramente lo stato d’animo di una persona profondamente sola, capace di riconoscere la bellezza nel mondo ma non di farla propria o di farne parte, col disperato bisogno di essere riconosciuto nel proprio valore, e amato. In ogni dipinto di Van Gogh si ritrova il dolore di questa ferita, l’amarezza, la tristezza di non esserci riuscito. E io non so se una video-mostra possa riuscire a trasferire questo tipo di emozione, così intima e profonda. Questo mi riservo di raccontarvelo la prossima volta.