In questi giorni, sono stati registrati a Bari una serie di ricoveri per casi di morbillo. Diversi bambini e almeno 2 adulti sono ancora in cura presso l’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII e il Policlinico di Bari. La vicenda ha inizio lo scorso mese di ottobre, precisamente giorno 27, col ricovero, al pronto soccorso del pediatrico, di una bambina di 10 anni. Dalle prime analisi i medici comprendono subito che si tratta di morbillo. Secondo quanto dichiarato dai genitori, la piccola non sarebbe mai stata vaccinata. Scattano subito le prime cure e i protocolli previsti in questi casi. Durante il ricovero della bambina, presso lo stesso Ospedale, arrivano la sorella più piccola e un cugino, tutti con sintomi da morbillo. Diversi giorni dopo, anche un bambino di 10 mesi, ricoverato per un otite nello stesso periodo dei contagiati, fa ritorno al Giovanni XXIII col morbillo. Sempre nello stesso periodo, ad ammalarsi – e a essere ricoverati al Policlinico di Bari – questa volta, due adulti, il vigilante dell’Ospedale pediatrico e la mamma, non vaccinata, di due gemelline. Anche loro ricoverate nel periodo “cruciale”, ma per altra patologia, scampate al contagio, perché, al contrario della loro mamma, precedentemente vaccinate. Si tratta di un’epidemia? Rosella Squicciarini, responsabile di sorveglianza epidemiologica malattie infettive del dipartimento prevenzione Asl Bari, racconta – «Dai primi giorni di novembre e cioè da quando è arrivata comunicazione del caso di morbillo, stiamo lavorando per evitare ulteriori contagi. Abbiano sottoposto al vaccino “post esposizione” tutti i parenti e gli amici che sono stati a contatto con i piccoli e gli adulti contagiati. Contestualmente – dice la dottoressa – abbiamo sottoposto a screening tutto il personale medico, e non, del Policlinico e del pediatrico in turno nei giorni in cui è stato ricoverato il caso “indice” e a catena tutti i contagiati. Noi non siamo in grado di confermare che i genitori della piccola di 10 anni siano ‘no vax’ e onestamente non è questo il problema. Ciò che vogliamo spiegare è che le vaccinazioni restano l’unica strada per tutelare i propri figli e di conseguenza tutta la comunità. Questa malattia è molto pericolosa soprattutto per gli adulti e per le donne in gravidanza. Temiamo – conclude la Squicciarini – che potrebbero esserci altri casi da rilevare. Abbiamo sottoposto a screening anche donne gravide che sono entrate in contatto coi malati. Restiamo ancora col fiato sospeso. Speriamo non ci siano casi a rischio».
Ricordiamo che l’incubazione della malattia è di circa 10 giorni. Dal periodo in cui il virus entra a contatto diretto con l’organismo fino alla comparsa della febbre. Il contagio avviene per via aerea, tramite le secrezioni nasali e faringee, le goccioline respiratorie che si sprigionano nell’aria dopo i colpi di tosse e gli starnuti del malato. La contagiosità si protrae fino a 5 giorni dopo l’eruzione cutanea, ed è molto alta, durante la febbre.