Lo definiscono “gioco” e il divertimento procurato è quello di vivere alcuni secondi tra le nuvole, avvolti da una piacevole sensazione di leggerezza. Molto probabilmente, Igor May, il quattordicenne trovato impiccato al suo letto a castello, lo scorso 6 settembre a Milano, potrebbe aver praticato proprio il “Blackout game” ed essere la prima vittima italiana. Ormai un ragazzo su 10 ne conosce le regole. Internet ha scatenato una gara a questa folle sfida, suggerendo le “buone pratiche” per l’induzione al soffocamento e il raggiungimento dello stato di incoscienza, senza alcuna assunzione di droghe. Il processo bio-fisiologico che si attiva nel momento del “gioco”, prevede un’altissima concentrazione di anidride carbonica nel sangue (per la contemporanea assenza di ossigeno), questo provocherebbe una sorta di euforia. In realtà non è altro che un rallentamento dell’attività cerebrale, vale a dire l’anticamera dell’arresto cardiaco. Il motivo principale è chiaramente quello di fare un video da postare online, per pura smania di visibilità. In America è considerato ormai un vecchio trend risalente agli anni 90. Si calcolano oltre 100 vittime accertate, tutte comprese fra i 7 e i 18 anni. Il CDI (Centro per la Prevenzione e Controllo delle Malattie) americano ha diffuso da anni una lista con tutti quei segnali che dovrebbero mettere in guardia i genitori: capillari rotti negli occhi, segni sul collo, frequenti mal di testa e disorientamento dopo aver trascorso del tempo da soli. Ma soprattutto, come scrivono i genitori di Igor, è necessario essere sempre in comunicazione con i propri figli per attutire quel loro senso di onnipotenza adolescenziale, che se da un lato permette loro di affrontare il mondo con maggiore coraggio, dall’altro può diventare fatale.