Quei caschi di banane, apprezzati da tutti per l’esotico sapore, ricche di zuccheri, fibre, vitamine e minerali, con scarsa quantità di grassi e in bella mostra sui bancali di ortofrutta, esteticamente mature nascondono, alla base, una storia di rischio per il consumatore e per i lavoratori delle piantagioni.L’Italia importa da paesi lontani, Ecuador (Dole e Chiquita), Guatemala (Del Monte), Honduras e Costarica quintali e quintali di banane. Pochi sanno che per giungere da così lontano e mantenere lo stato di maturazione e la perfezione estetica, le banane subiscono impieghi di prodotti chimici, alcuni dei quali altamente tossici per l’uomo. Per evitare l’attacco di funghi ed insetti, già nelle piantagioni, i banani, vengono trattati con diserbanti, pesticidi e fungicidi (tiabendazolo- mancozeb) mediante erogazione aerea anche quaranta giorni all’anno. L’esposizione cronica ai prodotti antifungini crea, in chi lavora le piantagioni, una serie di gravi alterazioni: dalle dermatiti, alle malattie polmonari, alle alterazioni endocrine, degli organi emopoietici, del midollo osseo e fino alla compromissione della fertilità. Il fatto assurdo è che gli stessi certificatori che dovrebbero attestare l’innocuità del prodotto – la Rainforest Alliance per Chiquita e le Dole (bollino con la rana) e la SCS Global per Del Monte (bollino col picchio verde) – , autorizzano tali trattamenti dettando solo alcune precauzioni per i gli addetti ai lavori. Precauzioni che vengono puntualmente disattese dai padroni delle piantagioni. La Rainforest Alliance, per esempio, vieta l’utilizzo di prodotti chimici a 30 metri da case e strade e a 15 metri da corsi d’acqua. Invece, le irrorazioni degli aerei delle Compagnie bananiere vanno a finire, inevitabilmente, su civili abitazioni e corsi d’acqua, con compromissione dell’ecosostenibilità. La Legislazione europea autorizza l’uso dell’additivo tiabendazolo (E233), prevedendone solo la dicitura nell’etichettatura. Mentre il regolamento italiano ne vieta addirittura l’impiego. Di fatto, però ne permette la vendita. La verità è che manca un severo e massiccio monitoraggio dei prodotti trattati con questa sostanza chimica – nel 2015 è stato controllato solo lo 0,00025% di tutte le banane arrivate in Italia -, così come mancano controlli igienico sanitari severi per valutare l’esposizione dei consumatori ai contenuti residui di tali trattamenti chimici. Sarebbe opportuno utilizzare semplici, ma salutari accorgimenti prima di consumare il frutto: prima di sbucciarlo, lavarlo bene sotto l’acqua corrente, in modo da non trasferire i pericolosi residui chimici alla polpa.