Con il nuovo anno scolastico si ripropone, dirompente, la questione della violenza perpetrata in danno dei docenti da genitori insoddisfatti dei risultati scolastici dei propri figli. Risale a martedì 4 settembre la prima aggressione fisica del nuovo anno scolastico di cui si è reso autore un padre che non ha accettato la bocciatura del proprio figlio sedicenne, studente in un Istituto di Padova, al termine degli esami di riparazione. L’accusa nei suoi riguardi è quella di percosse e minacce a pubblico ufficiale: è stato lo stesso insegnante a sporgere denuncia ai carabinieri. La Scuola non è più un luogo di convivenza e tolleranza; si deve constatare, infatti, che alla violenza dei genitori devono aggiungersi le innumerevoli aggressioni perpetrate, sia in danno di docenti che di coetanei, da parte di alunni poco più che adolescenti. Tale fenomeno, ormai, interessa ogni ordine e grado della Scuola italiana: non si può più pensare che la violenza e il degrado morale siano un problema legato esclusivamente a taluni contesti socioculturali o specifici delle sole periferie urbane, come si è creduto per troppo tempo. Il “conflitto”, anzi i “conflitti” in ambito scolastico stanno assumendo caratteri tali da farne un’emergenza per il nostro Paese. Infatti, è possibile distinguere due dimensioni del problema. Una prima dimensione del problema è riferibile ai conflitti tra gli operatori scolastici e gli utenti (studenti e genitori), che, talvolta, si scontrano quasi come blocchi contrapposti. Troppo spesso i secondi pensano alla scuola come ad un prolungamento dell’ambiente familiare, dimenticando che le scuole italiane sono luoghi istituzionali preposti alla formazione dei futuri cittadini e che docenti e dirigenti scolastici sono pubblici ufficiali, ai quali è dovuto il rispetto formale e sostanziale che si deve a coloro che svolgono una funzione pubblica. Non manca, inoltre, in ambito scolastico anche un conflitto interno, spesso sotterraneo, tra corpo docente e dirigenza scolastica, soprattutto in conseguenza dell’entrata in vigore della L. 107/2015 (c.d. Buona Scuola) che, attribuendo al dirigente scolastico funzioni, discrezionalità e compiti manageriali ha, di fatto, introdotto una nuova figura di docente, un “quasi operaio” al quale vengono affidati compiti e responsabilità sempre crescenti rispetto ai quali lo stesso non ha alcuna voce in capitolo, ma è ridotto a mero esecutore in vista di una produttività scolastica misurata in termini numerici: alunni ammessi alle classi successive, medie scolastiche, P.O.N., attività determinate dal PTOF, corsi di formazione, conseguimento di certificazioni varie ecc…Il sovraccarico di funzioni, che si aggiungono a quelle proprie della professione docente (quali l’attività didattica frontale e le attività funzionali all’insegnamento) e l’introduzione del dirigente manager e, quindi, la scomparsa della figura del Preside, percepito quale pater familias della comunità scolastica, hanno contribuito a determinare un corto circuito anche all’interno della stessa istituzione scolastica. Spesso il docente è psicologicamente, e non solo, indotto ad assecondare le scelte del dirigente-manager anche al fine di ottenere quel riconoscimento sia morale che economico (considerata l’introduzione del c.d. “bonus merito”) che altrimenti potrebbe vedersi negato. Tutto ciò comporta, altresì, una distrazione importante di energie, sia intellettive che fisiche,da quella che dovrebbe essere la funzione principe del docente e cioè coltivare la relazione psico-pedagogica con i discenti, ai più svariati compiti e funzioni strumentali al conseguimento di obiettivi ulteriori. In tale contesto, più che in passato, viene percepita dagli operatori scolastici una fredda gerarchizzazione della struttura scolastica che, sicuramente, non favorisce un confronto sereno tra le parti al fine di individuare soluzioni condivise al problema della condotta sempre più violenta e generalizzata posta in essere da studenti e genitori. Gli stessi dirigenti scolastici sono soggetti a valutazione da parte del MIUR, valutazione che tiene conto dei risultati ottenuti sempre in termini di produttività, come sopra delineata. È intuibile come la concorrenza di più fattori di stress psico-fisico possa comportare a carico degli insegnanti lo sviluppo di patologie quale, per esempio, la ben nota sindrome di Burnout. Ai docenti, sempre più frequentemente, costretti a subire le angherie di alunni e, spesso, di genitori irresponsabili, si chiede di mantenere la calma e fare ricorso allo strumento della “nota disciplinare” e, solo in casi piuttosto gravi, alla convocazione di consigli di classe straordinari. Nel frattempo, tutti gli operatori scolastici, ma in particolare i docenti che si relazionano quotidianamente con decine di adolescenti “costretti” alla frequenza scolastica, vivono situazioni di pericolo pressoché quotidiane. Non può dubitarsi che tale situazione di degrado morale e relazionale, perché la relazione tra docente e alunni deve essere veicolata attraverso l’autorevolezza e la solidarietà tra adulto e adolescente, trova le cause sue proprie, fondamentalmente, in tre fattori:La scarsissima considerazione sociale riservata al corpo docente; La pressoché totale mancanza di tutela da parte dello STATO; L’attuale strutturazione del sistema scolastico che riversa sul singolo docente la risoluzione di tutte le problematiche che emergono nel contesto classe. Infatti, tutti i docenti sono ben consapevoli di quanto sia complesso, oggi giorno, giungere all’adozione di un provvedimento disciplinare di “sospensione” dell’alunno e, ancor di più, di espulsione dall’istituto scolastico o di non ammissione alla classe successiva. Indubbiamente, la scarsa considerazione sociale di cui gode il corpo docente è il frutto di continui attacchi al mondo della scuola perpetrati anche da parte di rappresentanti politici, negli ultimi venti anni. Tutti ricordiamo i “ritornelli” di alcuni ministri e parlamentari che accusavano e accusano i docenti di essere “dei privilegiati”, di “lavorare meno rispetto ai colleghi europei”, di far ricorso a troppe assenze per malattia; affermazioni spesso strumentali all’adozione di provvedimenti legislativi riduttivi dei diritti dei docenti, una delle più importanti categorie di lavoratori per la tenuta democratica dello Stato. Affermazioni, peraltro, regolarmente smentite da dati oggettivi facilmente verificabili. Ad esempio si consideri che in Francia, Belgio, Austria, Danimarca e in altri Paesi dell’Unione europea, l’orario settimanale è addirittura, in alcuni ordini di scuola, inferiore a quello italiano, ma a fronte di retribuzioni superiori. L’assenza dello Stato è un sentimento diffuso tra gli operatori del Comparto Scuola, considerata l’assoluta mancanza di figure professionali che possano supportarli in situazioni particolarmente complesse: dallo psicologo scolastico stabile al mediatore culturale e scolastico sino ad un referente legale. Indubbiamente, tale problematica ha bisogno di una trattazione urgente, attenta e il più possibile oggettiva, che passi attraverso un’interpretazione giuridico-sindacale, anche alla luce di una rivisitazione dell’attuale normativa.