Il 12 luglio 2016. Una data che rimarrà impressa nella memoria collettiva. Quel giorno, al km 51 della ferrovia Bari-Barletta, tra le stazioni di Andria e Corato, in un’estate appena cominciata, 23 persone, persero la vita tra le lamiere contorte di due treni. Tra quella ferraglia rovente, viaggiava gente comune di ogni età. E con loro speranze, progetti, lavoro, studio e affetti. Tutti con la fretta tipica di chi vive una quotidianità che non fa sconti, non traccia scorciatoie o vie semplificate. In estate, poi, sembra che la vita si risvegli con l’unico obiettivo di catturare ciò che la stagione invernale, per sua natura, ha negato. Ma non quel 12 luglio di due anni fa, dove tutto si è fermato per trasformarsi in un insopportabile gelido insulto. Non vogliamo soffermarci sulle cause del disastro, poiché la giustizia, a cui spetta l’ultima parola, sta facendo e farà il suo corso (il 16 luglio alle 9.30 si terrà a Trani la prima udienza). Vogliamo invece dare la parola ai familiari delle vittime, che per sempre saranno i testimoni di questa incomprensibile tragedia.Fra questi c’è Anna Aloysi che, nell’incidente, ha perso sua sorella Maria di 49 anni. Con Anna condivideremo il ricordo di Maria donna eccezionale e madre esemplare.
Sono passati due anni, il ricordo di quei momenti è ancora forte. Cosa ti senti di dire
«Mia sorella Maria, una bella persona! Non ho riserve nell’ affermare che me l’hanno uccisa. Anzi, è una dichiarazione che, in questi ultimi due anni, ho fatto spesso. E con lei sono morta anch’io. Quando qualche volta mi è capitato di ascoltare affermazioni di questo tipo da persone che avevano subito lutti violenti, non riuscivo a capirne fino in fondo il significato. Morire vivendo è la sensazione più brutta in assoluto che si possa provare. Va contro natura. Ed è quello che ora sta succedendo a me. Quando accadono cose così inspiegabili e, se posso, paradossali, perché con la possibilità che abbiamo oggi, grazie a internet, di prevedere l’imprevedibile, mi carico di rabbia mista a impotenza»
Riavvolgendo un ipotetico nastro , vorresti ripercorrere quella giornata?
«Maria adorava il mare e quel maledetto giorno desiderava andarci. I miei ricordi più belli sono legati proprio al periodo in cui trascorrevamo le vacanze in una località marina in provincia di Taranto. Ero la più piccola delle due e per questo la seguivo ovunque. Ma tornando a quella mattina. Maria aveva la residenza con la sua famiglia a Modugno. Però, dopo la morte di mamma, aveva deciso di vivere 24 ore su 24 con nostro padre ad Andria per assisterlo. La casa paterna è proprio di fronte la stazione. Per cui non le è stato difficile, né impegnativo, salire su quel treno, che di lì a poco, come altre volte, l’avrebbe condotta a Bari per raggiungere le spiagge del lungomare. Eppure durante quel banalissimo percorso di neanche cinque minuti, mia sorella, con altre 22 persone, ha perso la vita».
Come hai saputo dell’incidente?
«Nel momento preciso dell’incidente mi trovavo in ospedale ad Altamura per risolvere questioni personali. È stato lì che ho ricevuto la prima telefonata. Una persona amica mi invitava a tornare a casa con urgenza perché ad Andria c’era stato un incidente ferroviario. Nient’altro. Sorpresa e preoccupata mi sono avviata. Mai immaginando, però, ciò che di lì a poco avrei appreso dai telegiornali. Infatti, appena giunta a destinazione, le prime notizie e con esse anche le prime parziali verità cominciavano ad emergere».
Avrai sicuramente cercato di contattare Maria telefonicamente?
«Certo! Il suo cellulate ha squillato per un po’, poi silenzio assoluto. L’ansia aumentava e non poteva essere diversamente. Le informazioni, frammentarie, arrivavano ma si alternavano da positive a negative. Insomma sono andata avanti così per molto tempo. Minuti. Solo minuti. Ma che diventano un’eternità quando paura e ansia fanno perdere ogni contatto con la realtà. Facendo sparire di botto lucidità e cognizione del tempo. Sta di fatto che io e il mio anziano padre abbiamo brancolato nel buio per un pò. E solo dopo aver chiamato le questure di Andria e Corato, ho saputo che il punto di raccolta per i famigliari delle vittime era presso il palazzetto dello sport di Andria».
Sei andata e cosa ti hanno detto?
«Sì, alle 18:00 in punto ero nel palazzetto con in mano una lista di nominativi tra vittime accertate e feriti. Ma il nome di Maria non compariva. Mentre a turno funzionari ci dicevano di attendere. Ma attendere cosa? Ecco cosa accade quando sentiamo raccontare di disgrazie e di parenti che cercano i loro cari. Si crea tanta confusione mista a paura. Incredibile a dirsi, ma la verità è venuta fuori solo il giorno dopo. Cioè quando il 13 luglio tutti i cadaveri, compreso quello di mia sorella, erano già presso l’Istituto di medicina legale di Bari. Ho retto finchè ho potuto. Poi il crollo. Giorno 15, quando un medico mi ha consegnato i suoi effetti personali ho provato un mancamento. Ricordo che non riuscivo a reggere quegli oggetti. Sembrava che quelle poche cose in quella piccola busta pesassero una tonnellata. In quel momento ho pensato che era tutto ciò che di lei mi rimaneva. Oltre, ovviamente, al suo corpo deposto su un tavolo di acciaio, in una stanza gelida, chiuso in un sacco nero da cui spuntava a malapena il volto. Tento a fatica di rimandare indietro queste immagini. Non ce la faccio».
Cosa non ha funzionato secondo te?
«Un sistema ritenuto da tutti obsoleto, non al passo dei tempi. Una tragedia che si doveva e poteva evitare. Un’altra cosa che mi ha mortificata è stata quella di non aver ricevuto la notifica dell’udienza di giorno 16. Una stranezza. Ma mi hanno detto che si è trattato di un errore della segreteria del tribunale. Se mi fossi impuntata, se legittimamente avessi richiesto la notifica come da protocollo, avrebbero dovuto fissare una nuova data con uno slittamento dell’udienza di chissà quanto tempo. Ho deciso di andare oltre per non creare problemi agli altri famigliari in attesa quanto me di conoscere verità e responsabilità. In ogni caso sarò presente quel giorno insieme al mio avvocato che nel frattempo ha avviato tutte le procedure del caso».
So che da poco hai dato vita un’associazione con finalità precise. Di che si tratta?
«E’ una cosa che avevo da tempo nel cuore. Realizzare un’associazione per mantenere vivo in me e negli altri il ricordo non solo di Maria ma di tutte le vittime innocenti. L’associazione, di cui sarò Presidente e che conta già diversi iscritti, si chiama “Anna Aloysi Incidente Ferroviario Andria – Corato 12 luglio 2016”, si pone diversi obiettivi. Tra i tanti, in modo particolare, la ricerca della verità e della giustizia e un’attività di promozione e prevenzione per quanto riguarda la sicurezza di chi viaggia utilizzando i treni. Vorrei ringraziare pubblicamente i Sindaci dei Comuni di Bari, dott. De Caro e di Andria, dott. Giorgino per aver pensato a una Targa commemorativa in ricordo di tutte le vittime. Per noi parenti è un gesto importante che ci fa sentire meno soli. Quindi, domani, 12 luglio, alle ore 11.00, sarò prima a Bari, in piazza “Aldo Moro” per partecipare a questa importante cerimonia e poi per lo stesso motivo ad Andria, precisamente alle 18,15, presso la stazione. Là, dove tutto, purtroppo, è cominciato».